RAGNI E SCORPIONI, CENNI SUL LATRODECTISMO E TARANTISMO IN ITALIA

"Qui, esce nella calura il Ragno della follia e dell'assenza... Qui, cresce tra le spieghe del grano e le foglie del tabacco la superstizione, il terrore, l'ansia di una stregoneria possibile".."

(di Daniele Bianchino)


Sin da piccolo costruivo le mie basi biologiche e naturalistiche leggendo vecchie enciclopedie e cercando animali terrestri, volanti e acquatici, infilato in buche, fra campi o scogli marini. La prima volta, nei primi anni'90, vidi ragni velenosi e tarantole su una vecchia enciclopedia degli anni '70 con illustrazioni colorate (conoscere). Alla fine degli anni '90 uno dei miei posti di ricerca dell' infanzia si trovava nei campi adiacenti al mare dell'idroscalo di Ostia, un luogo naturale ma degradato e quasi ridotto a discarica (oggi divenuto dopo varie lotte un Oasi Lipu). Qui', sotto una pietra, trovai la mia prima malmignatta, e rimasi esterefatto pensando all'immagine di quell'enciclopedia degli anni'70 che era ancora stampata nella mia mente. La malmignatta, assime ad un altro grande ragno Italiano, la tarantola (Lycosa tarantula), fa parte della nostra antica cultura popolare, riti arcaici divenuti fenomeni di massa: Gli esorcismi dei tarantati in Puglia e in Sardegna con danze convulsive, balli e canti intorno a persone infilate nei forni o nel letame fino al collo, non che la conseguente nascita di balli come la Taranta o Pizzica in Puglia, della Tarantella in Campania o del Saltarello romano sui Monti Tiburtini e nel resto del Lazio, fenomeni e danze nati per il morso erroneamente attribuito alla tarantola appunto, piuttosto che alla malmignatta (vera artefice ma molto meno visibile). Presentero' i casi di avvelenamento da vedova nera (latrodectismo) nelle varie province d'Italia e successivamente i casi di tarantismo, con cenni ad altri ragni velenosi e agli scorpioni presenti sul nostro territorio. Per far questo ho lavorato per mesi su vecchi testi del 600/800 e del dopoguerra purtroppo non accessibili ne online ne in biblioteca. L'analisi di questi ragni e le storie di cui sono protagonisti ci fa tornare all' Italia del passato, al sole, all'odore del fieno, il grano, ad antichi riti lontani nel tempo, esorcismi, musiche e balli sollevati dal tormento popolare del loro morso.

INDAGINE SUI CASI DI LATRODECTISMO VERIFICATISI IN PASSATO IN ALCUNE PROVINCIE d'Italia:

La malmignatta, Latrodectus tredecimguttatus (sinonimi Aranea 13-guttata, Latrodectus malmignatus, Latrodectus argus, Latrodectus erebus, Latrodectus lugubris, Latrodectus venator, Latrodectus 13-guttatus, Latrodectus 5-guttatus, Meta hispida, Theridion tredecim-guttatum, Theridion lugubre) detta anche argia, arza, bottone o ragno di volterra (crna udovica, kapakypt o karakurt in altri paesi europei) è l'unica specie di vedova nera presente nell'area mediterranea, e il ragno col veleno piu' potente presente in Italia. Fu il primo ragno descritto del suo genere (vedove nere - Latrodectus), proprio in Italia, all' universita' di Pisa, dallo zoologo P. Rossi nel 1790. Le altre specie di vedova nera oggi conosciute (Latrodectus mactans, menvodi, hasselti ecc.) vennero scoperte in seguito e sono distribuite in America, Africa, Australia, Asia e zone tropicali. Pochi testi antichi si riferiscono a questo ragno; In passato l'attenzione era puntata soprattutto sulla Tarantola o taranta (Lycosa tarantula), un grosso ragno che sembrava affliggere con i suoi morsi gran parte dell'Italia centro-meridionale.
Cominciando dai testi piu' remoti a cui sono potuto accedere, apprendiamo che la malmignatta viene probabilmente identificata nel velenosissimo ragno chiamato "Cronocolaptes", descritto da Aezio di Amida attorno al 400 a.C. ma anche nel ragno chiamato "solfuga, solipugas, salpugas" descritto Attorno al 280 a.C. da Caio Giulio Solino, un ragno molto velenoso o addirittura mortale presente nei campi della Sardegna, solfuga chiamata perchè evita la luce e preferisce stare sotto le pietre o nelle miniere d'argento " hoc solifuga Sardis agris, animal perexiguum aranei forma, solifuga dicta quod diem fugiat. in metallis argentariis plurima est, nam solum illud argenti dives est: occultim reptat et per imprudentiam supersedentibus pestem facit ". Plinio e Dioscoride nel I secolo a.C (70 a.C. circa) descrivono ancora ragni velenosi, distinti in falangi e solifughe; Uno di questi chiamato "Rhagion" dicono assomigli all'acino d' uva nero, con una piccola bocca, e il suo veleno è paragonabile a quello di un velenoso scorpione; Questo ragno sarebbe simile al falangio detto "Asterion", ma quest' ultimo si differenzia per alcune macchie chiare (puntature) sul dorso; Anche Nicandro di Colofone (II sec a.C.) descrive il falangio Asterion e nota in esso il dorso macchiato in grossi e lucidi tratti. Gli stessi autori, infine, descrivono un altro ragno, il "falangio Mirmecio o Formicario", sempre nero e anche questo macchiato di bianco, che si rivelera' probabilmente simile o sinonimo dell' Asterion. Faccio notare che in alcune regioni dell'Eeuropa Orientale, dei balcani e della Russia meridionale sono diffusi Latrodectus (malmignatte) completamente melanici o melanici con alcune bordure bianche (Latrodectus tredicimguttatus lugubris o erebus) corrispondenti quindi alle descrizioni di Aezio, C.G. Solino, Plinio, Dioscoride e Nicandro. Nel 30 a.C. circa, Strabone scrive che nel Albania caucasica (oggi Azerbaigian), al confine con i monti del Caucaso, alcuni ragni (ossia falangi tetragnati) uccidevano le persone con il loro morso, fra pene dolorosissime. Questa regione non a caso è molto popolata da Latrodectus. Nel 1590 il farmacista e naturalista italiano Ferrante Imperato, fra i ragni di Puglia descritti, generalmente da lui chiamati tarantole, ne descrive una di color nero e molto piu' velenosa delle altre e che i paesani chiamano volgarmente 'Solofizzi'. Giorgio Baglivi nel 1695 è l'unico ad inserire la malmignatta tra le cause del tarantismo. Infatti, oltre a descrivere sintomi e terapia di questo male, elencava alcune differenti specie di "tarantelle" (come egli chiamava i grossi ragni) e fra queste, apparte la piu' famosa tarantola, ne descriveva una nera a forma d'acino d'uva, la “tarantella nera o uvea”, la piu' pericolosa, indubbiamente la malmignatta, ben diffusa anch'essa in Puglia. Piu' chiaro Tommaso Maria Chellini nel 1729: " Questo è il ragno nero palato di rosso... ed è tanto velenoso, che non prendendo rimedio si morirebbe ". Francesco Serao in Lezioni accademiche sulla tarantola o sia falangio di Puglia, 1742 scrive: " Produce altronde la Puglia certi falangi affatto neri, macchiati sulle groppe di schizzi rosso accesi". Nel 1755 D. Brogiani nel suo pouscolo De Venenium Animantium, sostiene che un velenoso ragno detto Falangio è causa in Toscana di varie e tremende affezioni; Gli stessi nefasti sintomi furono osservati nel 1769 in Corsia daL Chirurgo Maggiore dell'Armata di Corsica, De Bourrienne, causati dal morso di un ragno analogo, nero e macchiato di rosso, che qui veniva chiamato Malmignatta, e dal quale erano stati punti 15 soldati. Il medico Luigi Toti nella Memoria sul Falangio di Volterra riferisce, nelle sue osservazioni compiute durante il periodo dal 1786 al 1827 che nell'anno 1786, nella zona di Volterra, furono segnalati 16 casi di latrodectismo e nel 1787 ben 23 casi (1 vittima). Secondo il Toti mai si era notata una frequenza cosi' alta di ricoverati, per il morso di questo ragno, nell'ospedale di Volterra; Negli anni successivi il numero dei morsicati comincio' a diminuire, e dall'estate 1789 all' Estate del 1818 furono 17 le persone totali offese dal ragno fra le pendici volterrane, ma fuori da questo territorio si segnalarono tre morsi fatali in Toscana, nel 1789, nel 1810 e nel 1818 (una incerta nel 1819). Sembra che il numero di casi sia successivamente tornato al livello primitivo in seguito alle temperature eccezionalmente basse registrata negli inverni 1788-89 e 1802-03, per sparire completamente entro il 1827. Il Toti stesso, inoltre, cita l'esperienza di altri vecchi medici che sostenevano di aver notato un andamento ciclico della frequenza dei casi che apparivano più numerosi sempre in seguito a periodi estivi estremamente caldi ed asciutti. Anche lo zoologo Pietro Rossi, nella sua ampia descrizione e catalogazione del ragno pubblicata nel 1790, chiama il ragno Aranea tredicm guttatus e riporta infatti che questi fu abbondantissimo nell'Agro volterrano durante la fine del Settecento. Nel 1800 il ragno viene descritto da Marmocchi D. Francesco, di Poggibonsi nel suo "Memoria sopra il Ragno Rosso dell'Agro Volterrano". Nel 1814 lo stesso ragno è descritto anche sull' Isola d'Elba da Thiebaut de Berneaud e anche qui si conosceva per i mali che suscitava. Come riportato da Vellard, l'apparizione di un gran numero di ragni e di conseguenti avvelenamenti fra i mietitori fu segnalata anche in Spagna nel 1830 presso Tarragona. Nello stesso periodo (1833), il Dott. A.M.Cauro, di Ajaccio, aveva notato il medesimo fenomeno in Corsica (Exposition des moyens curatifs de la morsure de la Theridion malmignatte). L. tredecimguttatus var. erebus (o lugubris) infestò alcuni pascoli e steppe della Russia nel 1838, 1839 e 1868 (Motschulsky, Becker, SchtschensnowItsch, Rossikow) con la morte di 2 uomini e decine di animali (cammelli, cavalli, pecore). Anche in Francia Dax, Rouet e Marignan nel 1878 e 1879 osservarono un numero rivelante di casi (una vera epidemia secondo quanto scrvive Marignan) nel territorio che circonda Marsiglia. Dr.Vinson, un naturalista francese, attorno al 1880 notò che la malignant Latrodectus dell'Elba e di Corsica era pericolosa e dannosa ugualmente ad altre due vedove nere appena descritte nel Nuovo Mondo, la Latrodectus Menavodi in Madagascar e Latrodectus curacaviensis dell'Isola di Martinica. Nel 1905 Bordas in Francia e nel 1910 il Dott.Pini, presso Volterra, compirono ricerche sperimentali sulla tossicita' del veleno di questo Ragno. Nel 1913 anche il Castelli descrive la velenosita' e l'abbondanza del medesimo in Sardegna . Ancora in Spagna avvelenamenti fra i mietitori avvennero nel 1934 presso Barcellona. Infine, anche in Jugoslavia Maretic e Stanic riportano che i casi di latrodectismo erano stati sporadici in Istria fino al 1948, ma che in quell'anno nell'Ospedale Provinciale di Pola furono ricoverati 12 casi, e che il numero ando' aumentando fino a raggiungere i 14 casi nel 1952 (complessivamente 180 casi in Istria negli anni 1948-53). Nell'Italia del secondo dopoguerra quasi la meta' dei lavoratori italiani sono braccianti, agricoltori e allevatori. Nell'estate del 1947 il Dott. Luigi Bini, medico condotto di Orbetello, segnalò un insolito aumento della frequenza dei casi di latrodectismo riportati nel Comune di Orbetello. Furono iniziati, di conseguenza, studi sulla terapia del latrodectismo che poi condussero alla preparazione di un siero antitossico. Una ricerca epidemiologica compiuta nel 1932 porto' a conoscenza della vasta distribuzione e del numero rilevante dei casi di latrodectismo in Italia (complessivamente 262 casi negli anni 1949-51). Ulteriori notizie epidemiologiche ottenute da altre provincie indussero a supporre che l'episodio osservato ad Orbetello non fosse localizzato solo a quel Comune, ma che si trattasse invece di un fenomeno di ben più vasta distribuzione. Osservazioni preliminari compiutte da S. Bettini ed E. Finizio hanno poi condotto ad intraprendere una vasta ricerca epidemiologica sui casi di latrodectismo ricoverati negli ospedali ed infermerie delle provincie di Grosseto, Viterbo, Roma e Latina, durante il periodo che va dal 1938 al 1958, comprendendo in questo studio una vasta zona di pianura e di basse colline notorimanete infestate da L. tredecimguttatus, formate dalla Maremma toscana, laziale, dall'Agro romano e dall'Agro pontino (compresi l'Agro di Fondi, e l'Agro di Scauri). Fra le decine di avvelenati risultarono due vittime, 1 nella provincia di Grosseto nel 1947 ed una in quella di Roma (Ostia) nel 1953. Nel 1991 la ricerca dei casi di latrodectismo si estesa fino in Campania grazie all'antropologa e documentarista Annabella Rossi. Anche qui i casi di araneismo risultarono numerosi. Nell'estate del 1987 hanno avuto larga risonanza le segnalzioni di malmignatta in Liguria, e ad essa sono state attribuite le morti di due donne. Nella stessa estate, un insolito aumento di questo ragno sul Litorale Romano, da Focene ad Acilia, ha fatto ricorrere a disinfestazioni mirate per il panico suscitato dalle precedenti due vittime liguri. Nell' Agosto del 1996 il sindaco di Cagliari fa chiudere e disinfestare gli uffici della circoscrizione per il ritrovamento di un numero consistente di questi ragni e dei loro sacchi ovigeri. Altro caso di Latrodectismo avvenne nel 1996 presso Lecce, e piu' Recentemente nel 2015, un caso in Sardegna e un altro ancora presso Lecce.



IL LATRODECTISMO DELL' AGRO VOLTERRANO (1786 al 1827)
Memoria Fisico Medica del Sign.Dott Luigi Toti:

Le parole del Dott. Luigi Toti di Fojano, medico di Volterra, narrano con straordinaria passione ed interesse l'analisi del velenoso ragno che, alla fine del settecento, infestava le campagne di Volterrra e delle zone circostanti: Prendo animo, virtuosi accademici, di presentarvi una memoria fisico-medica. Questa riguarda un Ragno Venefico abitatore dell'Agro Volterrano, e che in quest'anno piu' che in ogni altro si è dimostrato dannoso agl' industri Agricoltori. IL pericoloso effetto del di lui morso,. per cagione del veleno comunicato, il prodigioso numero che di questa specie d' "insetti" ritrovasi in esto territorio, sono stati per me il giusto stimolo per presentarvi un' istoria, la quale quanto nuova altrettanto utile potra' riuscire. Ritrovasi nell'agro Volterrano, e in qualche altro luogo a questa citta' adiacente dalla parte in specie del Sud all'Ovest un ragno particolare. La figura del medesimo non è molto dissimile da quella specie di ragno Pugliese nominato Tarantola. IL di lui corpo è leggermente peloso; l'addome e' quasi sferico della grandezza di una nocciola ordinariail, di un nero lucido, sparso con eleganza di alcune macchie rosse scarlatte, disposte a tre ordini in lunghezza, per lo piu' in numero di tredici/quindici al di sopra e una o due al di sotto. E' proprieta' di questo ragno fabbricare la tela per terra o fra i sassi in campagna, onde predare altri insetti in suo cibo. La femmina costruisce il bozzolo ben incartato; ottima si e' la seta con cui l'ordisce, e molto tenace. Entro i medesimi copiosamente deposita le sue uova ne' l'abbandona un momento per timore che non le siano guastati. Sfugge la compagnia de' suoi simili; vive per piu' mesi senza prendere cibo. E' tardo alla sdegno, veloce nel moto, velenoso nel morso . Accade pertanto che il rustico colono o cogliendo la messe, o falciando le paglie viene spesso e a stringerlofra le medesime, e a guastare l'ingegnoso di lui lavoro in mezzo a cui vive l'animale. Irritato percio' egli essendo, si avventa e morde la parte che piu' comoda gli si presenta. Acutissimo è il morso; dopo pochi istanti divengono i pazienti quasi paralitici nell'estremita' inferiori e superiori, ed incapaci percio' a reggersi in piedi da se medesimi. Quindi risentono un intenso dolore nel ventre; incorrono in una oppressione; trovano difficolta' di respiro; soffrono una spossatezza universale, ed un tremore alle articolazioni specialmente del ginocchio. IL polso si fa profondo e legato, ma non è sempre febrile. Provano irregolari sensazioni di freddo, e caldo. Mal di testa, vertigini, vomito e la tumefazione del ventre ordinariamente li segue, divengono convulsi piu' all'interno che all'esterno, e perdono il sonno. La parte morsicata non si rivela, se non una piccola bolla rossa con immezzo un piccolo segno nero. Questo è quanto si osserva nelle persone restate offese dal morso di questo Ragno. Particolarmente in qualcuno si è aggiunto il delirio, febbre molto alta, la ritensione dell' orina, sintomi che rendono la malattia piu' grave e difficoltosa. In alcuni casi, purtroppo è sopraggiunta la morte. La durata di questi sintomi si estende da tre a quindici giorni, e l'esito riesce sempre salubre ogni volta che il soccorso medico si appresti. Allorche' nell'andare ad esercitare la professione Medica nella campagna mi fu presentato per la prima volta, negli ultimi di Maggio 1786, un infermo che era stato morso alla gamba dal descritto ragno e si trovava nel miserabile stato che vi dipinsi sopra. Oltre ad aiutare il malcapitato ricercai subito di vedere questo Ragno a me ignoto. Interrogai la gente della campagna, e venni a sapere che il Ragno non era nuovo, anzi quasi ogni anno qualcuno restava da esso offeso cosi' gravemente. Feci pertanto una raccolta di qeuesti Ragni, che in gran copia ovunque si trovavano. Indagai, e Venni assicurato dal Dott. Marchi, anziano Chirurgo di Volterra, che anni addietro aveva curato diversi ammalati per cagione del morso di questo ragno, il quale piu o meno dominava gia in queste campagne. Lo stesso mi confermo' il mio antecessore, il Dott. Vigilanti. Ne parlai anche col dottissimo Sign. Dott. Giovannelli, consultore di sanita' in Livorno, e mi accerto' che questo ragno gli era gia noto di vista, come ad altri fisici in questi luoghi circonvicini, ignorandosi pero' da molti l'effetto cosi' pericoloso della sua puntura. Alcuni non lo avevano neppure veduto. Cio' dimostra che questi ragni non sono copiosi in qualunque anno, ne' si trovano sparsi egualmente per tutta la campagna, ma scelgono quella parte che guarda il mezzo giorno. Mentre io andavo acquistando sicure notizie restarono offese 8 persone dal morso del medesimo Rango, entro il mese di Luglio, con gli stessi sintomi descritti. Scorsi le opere di vari Naturalisti antichi e moderni, ma non ho trovato questo Ragno ne descritto ne osservato. Plionio, Aristotele, JoSthon, Kirker, Moufet, Aldovrando, Reaumur, Mead, Tourneort, Linneo, ed altri famosi insettologi non descrivono questo Ragno. Diversi di questi ragni inviai agli Intendenti e all 'illuminato sovrano nostro Pietro Leopoldo, e assolutamente per nuovi comparvero. Sospettai che potesse essere il famoso Ragno Pugliese descritto dal Baglivi e ancora da Serrao, ma caratteri ed effetti li ritrovai diversi. P ensai allora di averlo ritrovato in un ragno velenoso descritto in alcune isole dell' America detto volgarmente " ragno col culo rosso" ma anche in questo non ritrovai le stesse caratteristiche. Gli effetti osservati nelle persone morse dal nostro Ragno Volterrano sono molto simili a quelli che descrive fra gli antichi Aezio, conseguenti al morso del Falangio Venefico detto "Cronocolpates", ma il ragno non è descritto. La somiglianza che piu' si accosta al nostro Ragno Volterrano, sia nella descrizione che negli effetti del morso, ritrovasi in un manoscritto di Figuer del 1729 da un certo Tommaso Chellini: " Questo è il ragno nero palato di Rosso, che fa nel popolo di Cassignano, e fa sotto i covoni del grano, e quando i contadini pigliano una bracciata di covoni, e lui si sente stringere, morde nel braccio il contadino, ed e' tanto velenoso, che non pigliando rimedio si morirebbe ". Dopo questa ricerca mi persuasi che il nostro ragno, benchè conosciuto, non fosse fin ora ne stato descritto, ne seriamente esaminato. Indubbiamente appartiene ai falangi venefici, e volendono nominare percio' si possa: Phalangium Volterranum nigrum, abdomine ovato, ordinibus tribus longitutinalibus puctorum rubronum, o volgarmente "Ragno nero macchiato di rosso dell' agro Volterrano. Riconosciuto ora il Ragno passai quaindi a fare esperimenti sulla qualita' del suo morso;

Feci quindi portarmi una certa quantita' di questi ragni, che posi in diversi vatri di vetro serrati con la cartapecora. In alcuni rinchiusi in solo maschio, in altri una sola femmina, in altri un maschio e una femmina assieme, e in altri infine piu' maschi e femmine promiscuamente. Il giorno seguente i maschi soli, cosi' come le femmine sole, avevano tussuto la tela ed erano in quiete; alcune femmine avevano anche costruito il bozzolo delle uova. Anche le coppie di un maschio e una femmina soli erano abbastanza quieti, coi maschi un po' isolati in un angola della tela. Ugualmente piu' femmine assieme stavano piuttosto in pace. Nei vasi in cui maschi e femmine erano promiscui osservai diversi bozzoli tessuti, ma i ragni si adiravano fra se stessi e si mordevano e quasi la totalita' dei maschi eran gia' Morti. Ne' per fame Ne' per lo strapazzo; Fra di Loro si uccidono. Sopratutto i maschi si fanno la guerra subitamente. Si afferrano essi col morso alle articolazioni che uniscono la zampa al petto, e le distaccano dal medesimo totalmente. Cosi' si danno la morte. IL piu' desto si salva e vive fra gli altri uccisi corrotti. In un vaso dove erano serrati 15 maschi in 3 giorni ne morirono 14. Dopo vari giorni di digiuno, in particolare le femmine, stimolati con qualche acuto strumento, diventavano rabbiosi, e si attaccavano gagliardemente. Notai che i ragni a cui somministravo meno cibo vissero vari mesi in piu' di quelli che saltuariamente nutrivo; In ogni caso, Di tutti gli esemplari da me tenuti in vaso nessuno è arrivato vivo alla primavera successiva. Nell' aprire diversi bozzoli, ho ritrovato perfino 400 uova rinchiusi dentro ciascuno di essi; e siccome una femmina da me serrata e' stata capace di fare anche il terzo bozzolo, si comprende percio' quanto siano prolifici questi ragni. E' vero pure che in aumento del numero dei bozzoli diminuisce il numero delle uova, ma comunque non è mai meno di 200. Dopo 40 giorni questi si schiudono; Credo che in natura, al freddo, questi si schiudano con l'arrivo della primavera successiva; Cosi' punto avvenne e nell' Aprile del 1787 si uscirono i ragnetti dai bozzoli da me custoditi. Si pensa che nell' inverno questo Ragno si nasconde fra sassi, argini, vecchi muri, e che in questo tempo non solo non morde, ma sembra poco meno che morto; Riassume il suo vigore al riscaldarsi della stagione. Termometro alla mano ho veduto che resistono ancora a 4°C sopra il gelo e che muoiono con l'avvicinarsi dello 0°. Ne ho quindi dedotto che in inverno, questi Ragni, sono molestati dal freddo intenso fino al punto di non poterlo piu' resistere e cadere estinti: Ne viene in seguito, che se combineremo un esate assai calda, saranno essi piu' solleciti a mordere, e piu' gravi le malattie suscitate dai medesimi. Continuando i mieie esperimenti, Pigliai per piu' volte uno Scorpione ed uno di questi Ragni, mettendoli insieme in un vaso, e quasi sempre lo scorpione veniva assalito, e infine moriva servendo da cibo al Ragno. IL P.Masini mi fece sapere che, ancora nell' estate del 1787, entro un cavo di un muro esposto a mezzo giorno, dove era la tela di due di questi ragni, ritrovo' 4 spoglie di scorpioni prosciugati. IL giorno dopo ne trovo' altre due, e cosi' per la terza volta. Questo mi indusse a credere che il ragno Volterrano o trovi miglior cibo nello Scorpione o che nemico ne sia piu' di qualunquea altro.
Presi un piccione, e per quattro giorni di seguito, una volta al giorno, lo feci mordere sotto le ali; Sofferto appena il morso l'animale si scuoteva, non si reggeva in piedi se non per pochissimo, beveva frequentemente, restava convulso per qualche ora, e si tumefaceva universalmente. IL piccione resto' languido per quasi 20 giorni, dopo di che torno' alle sue naturali operazioni. Replicai l'esperimento in un galletto di 40 giorni, e notai gli stessi sintomi occorsi al piccione. Scelsi un altro piccione, e per otto giorni gli feci ingoiare a forza uno di questi Ragni vivi. Restava percio' morsicato replicamente nella gola; Lascaito in Liberta' soffriva violente scosse, cadeva convulso, girando confusamente, non si poteva reggere in piedi, ne sostenere con l'ali, si conduceva a fatica furiosamente per terra. Beveva a gran copia e finalmente mori' dopo l'ottavo giorno essendosi universalmente tumefatto. Feci mordere sotto il Labbro inferiore un cagna, la quale strepito' nel soffrire il morso, gonfio' nel collo, stiede molti giorni senza cibarsi, si dimostro' languida e debole nelle zampe, potendo muoversi a stento; continuamente procurava di Leccarsi con la Lingua la ferita sofferta, ma sopravvisse; Feci portarmi diversi volatili nati da pochi giorni, che facevo mordere, e poche ore dopo si osservavano illividire, e quindi tumefacendosi morivano; Infine, volli provare se le carni di questi ragni potevano apportare danno alcuno; ne feci essiccare molti al sole, li triturai e formai alcune grosse pillole che mischiai con carne cotta di manzo. Ne diedi per piu' volte da Mangiare a cani, gatti e conigli, ma non osservai in loro problema alcuno. Restava ora conoscere cosa sarebbe avvenuto a quelle persone che dopo esser state morse fossero private di ogni medico sussidio.

Come gia accennato, precedentemente al mio arrivo, qualche persona era stata gia' morsa da questo Falangio. Nel Luglio del 1767 Maria Anna di Giuseppe Brogi, di anni 12 rimase morsa in un dito del piede essendo scalza in campagna. Soffri' il vomito, il tremore e la febbre, e non poteva in alcun modo reggersi sulle gambe. Fu curata dal mio antecessore, da cui venni di cio' pienamente informato.
Le persone offese in quest'anno 1786 da questo Falangio sono state 16, tutte curate sia da me che dagli altri medici addetti al servizio di questa Comunita'. Assai calda e asciutta fu l'estate del 1787, e le persone offese da questi ragni furono molte di piu' dell'antecedente anno 1786, e piu' gravi furono le pene dei sintomi causati. Nell' ultimo giorno di Luglio del 1787 Luigi Antonio Mazzinghi, di anni 5 e contadino, ando' alla fonte con sua madre a prendere l'acqua. Siccome faceva molto caldo era nudo alle estremita' al solito della gente di campagna, e rimase offeso sotto il dito minimo del piede da uno di questo soliti Falngi. Diede il medesimo un forte grido, e a fatica si ricondusse a casa sostenuto dalla madre, perchè non si reggeva in piedi. Essendo le 22 di sera i suoi genitori pensarono di chiamarmi solo al mattino seguente. Durante la notte, nel Letto, il giovane si lamentava del dolore al piede, gli sopraggiunse la febbre. A meta' notte si sveglio' assalito da violente convulsioni, si gonfio' e meteorizzo' tutto il ventre; soffriva un intenso calore ma non aveva nemmeno la forza di girarsi da se medesimo nel letto; e cosi' tormentato, verso le 9 della mattina passo' agli eterni riposi rimanendo tutto livido esternamente. A dire il vero mi sorprese questa storia cosi' funesta, non potevo credere, che il veleno di un solo di questo ragno, introdotto nel corpo di quel fanciullo, fosse riuscito a cagionare la morte al medesimo. Mi dispiacque di non aver potuto almeno vedere il di lui cadavere. Feci diverse, replicate interrogazioni all'afflitto padre, e mi rispose, che era stato assolutamente il morso di uno o piu' di questi Ragni rossi, che in gran copia ritrovasi intorno alla Fonte esposta al mezzogiorno. Non sembra fuor di ragione, che il giovinetto calpestasse a caso piu' che uno dei nostri Ragni, e che ne restasse percio' offeso, ed essendo tenero di fibre e privo di aiuti medici, precipitasse alla morte alla maniera medesima sopra osservata per i volatili.
Altro fatto simile accadde Nel Luglio 1789, quando fui informato dal Sign.Dott.Alessio dalla Fanteria medico di Legoli, della morte di Giovanni Bini, Contadino di anni 25, seguita in 42 ore per il morso da uno di questi Falangi nell' interna articolazione del cubito destro. E siccome questo Ragno non era molto noto in quella campagna, non si prese timore alcuno di questa morsicatura, e i domestici non chiamarono il Professore finchè non viddero il ragazzo tumefatto universalmente con gran febbre, e delirante. IL SignDott. Alessio gli pratico' tutti gli aiuti necessari, ma furono inutili; tre ore dopo la visita' cesso' l'infermo di vivere contro' ogni aspettativa. Non resta luogo alcuno da dubitare che il nostro Falngio, deposita mordendo un umore, qualunque esso siasi, di natura sua velenoso.. Questo umore è assorbito rapidamente dai vasi linfatici, ed introdotto per tal via nel sangue. Quivi, scomponendone l'ordine, e la natura, perturba l'equilibrio nel circolo, e nelle forze naturali, diminuisce la forza della fibra muscolare, insorge il moto convulsivo nelle parti, entra in campo il languore, la mortificazione delle membra, e finalmente la morte. Sembra che il veleno di questo Ragno o Flangio Volterrano, non agisca molto diversamente dal veleno della Vipera. Nella sera del 14 Luglio 1787, Una Giovane di anni 15, fu morsicata nella coscia sinistra da uno dei soliti Ragni, nelle paglie fra le quali lavorando si tratteneva. Diede un forte grido nel sentirsi mordere, getto' a terra il ragno, e quando calpestare lo voleva, si trovo' priva di ogni forza alle gambe. Venne trasportata a casa ed io venni prontamente. Le apportai le seguenti cure: isolai la parte offesa con due allacciature, la scarificai, praticai abbondante unzione con l'olio del Mattioli, panni lani ben caldi per piu' di un ora, due volte al giorno un bicchiere di vino con due dramme di Teriaca. Feci collocare la paziente nel Letto, sciogliendo le allacciature. Aggiunsi una decozione di scorsonera con gocce di tintura di D. contrajerva. Soffri' molta smania nella notte e un dolore universale alla cute. Nella notte seguente comparve il sudore che duro' per 18 ore di seguito. Al terzo giorno la fanciulla si trovo' libera dal suo malore.
IL 5 Agosto 1787 Giovanni Mannajoni, di 56 anni, fu morso alla fronte, mentre si metteva il cappello nel quale era entrato uno dei soliti Falangi, sopra un carico di fieno. IL contadino, dopo aver sofferto il morso, cadde convulso per qualche ora, e impotente sia nelle braccia che nelle gambe; gli sopraggiunse il vomito, e quindi la febbre dopo sei ore. I Figli lo condussero nell'ospedale mentre ero io di turno. Lo ritrovai molto tumefatto in viso, con febbre molto alta, calore, e delirio. Lo curavo coi soliti metodi sopra descritti. IL giorno dopo accusava forti dolori al ventre, e propensione al vomito. La febbre, la smania, il delirio e l'impotenza di braccia e gambe era ancorap presente. I sintomi calarono, ma dopo il terzo giorno sopraggiunse il sudore, sempre piu' copioso, fino a bagnare il materasso. Venne dimesso nel decimo giorno, ma fino al tredicesimo giorno rimase quasi paralitico, non potendo reggersi in piedi.
Giuseppe Fulcieri, contadino, di anni 60, Fu morso alla gamba sinistra; cadde in terra, e non potendo muoversi per se stesso, fu condotto a casa dai suoi domestici. Gli sopraggiunse la febbre, con un ferro qualunque, scarifico' fortemente l'infermo, non solo nella parte offesa dal morso, ma anche nel basso ventre, visto che appariva tumefatto. Perde' il paziente moltissimo sangue per questa carneficina; La sera gli torno' la febbre alta e intense convulsioni per tutta la notte. IL giorno seguente stava un po meglio, ma sentendo molto freddo ed essendo ancora impotente al moto, fu accompagnato davanti al fuoco e seduto lasciato solo. L'infelice contadino, volendosi alzare dalla sedia, cadde miseramente, con una parte del braccio sinistro sul fuoco stesse, e qui' rimase per almeno mezz'ora prima che qualcuno dei suoi lo vide e lo alzo'. Venne accompagnato di corsa in ospedale, dove ero io di turno, e curato con i soliti metodi. I sintomi del morso cessarono dopo 7 giorni, ma ci vollero sei mesi per risanare le piaghe del fuoco.
Un Uomo di 36 anni, nel prendere un fastello di fieno, fu morso al dito medio della mano sinistra da uno dei soliti falangi, stretto per errore. Dopo un po CaDde al Suolo quasi svenuto, seguirono le convulsioni, e si soppressero le orine. Io giunsi dopo sei ore e lo ritrovai aggravato con delirio e febbre alta, e col ventre meteorizzato. Fu da me curato col solito metodo. Gradualmente migliorando, nell'ottavo giorno si ritrovo' del tutto risanato.
Una giovane di 15 anni fu morsa ad una spalla dopo aver dormito nella paglia a cielo sereno durante le Estive faccende. Fu condotta subitamente all' ospedale di Volterra. Non si reggeva in piedi, e fu assalita da violenti moti convulsivi. Ivi seguitando il solito medico curativo, nell' ottavo giorno rimase libera da qualsiasi sintomo, dopo aver beneficiato anch'essa del solito copioso sudore accennato.
Un altra fanciulla contadina, di anni 7, abitante in un affetto della Nobile Famiglia Arrighi, che guarda il mezzo giorno, fu morsicata in un braccio. Cadde cosi' nel languore, e nelle solite convulsioni,con tremore quindi paralitico nell'estremita' in genere (braccia-gambe). Da me curata col solito metodo curativo, si risano' dopo 8 giorni, dopo la presenza di un abbondante sudore. Altre 8 persone, ugualmente di campagna, ho visitato e curato in quest'anno estivo 1787, tutte con la medesima infermita' prodotta dal morso del solito Falangio, e tutte guarite col solito metodo. Probabilmente questi falangi non sono ugualmente nocivi negli altri mesi dell' anno: Una contadina di 7 anni, figlia di Lorenzo Bianchi, fu morsicata nella gamba destra nel mese di Novembre. Non le cagiono' molto dolore; si avvili' solamente qualche ora dopo la puntura, e la sera ebbe un po' di tremore nelle estremita' inferiori; mancarono le convulsioni, la febbre, l'ansia, il delirio. Anche la grandezza dell'animale puo' incidere; Un giorno ne ebbi prova su me medesimo: dopo pranzo, per piu' volte mi sentii mordere, poichè essendo alquanto caldo non ero molto vestito. Pensai avessi intorno qualche insetto, ma poi sentendomi ripetutamente mordere nel medesimo punto, ricercai l'insetto, e vidi che avevo intorno quattro di questi ragni Volterrani, di piccola grandezza. Mi posi qualche apprensione, e non sapendo da dove fossero venuti, mi voltai subito a vedere i miei vasi dove li avevo custoditi. Osservai che era rotta la cartapecora di uno dei vasetti dove erano nati e cresciuti circa 50 ragni, e non ve ne ritrovai che 18, o 20. I medesimi, credo io, tormentati dalla fame avevano corroso la carta, e si eran sparsi per il mio scrittojo. Non volli prendere alcun rimedio, ma stetti sempre in guardia. Non osservai di piu' che delle piccole pustolette livide nei punti in cui ero stato morso. Passarono le ore, i giorni, e non incorsi in alcuno dei sintomi che avevo osservato nelle persone offese dai Falangi adulti e nutriti di campagna. E' indubbia cosa che i giovani di questa specie abbiano una dose di veleno troppo piccola per cagionare gli effetti riportati dalle altre persone offese. IL numero totale delle persone morsicate in questo anno 1787 è stato di 23, un terzo in piu' dell' antecedente anno 1786, e non vi è memoria che in questo ospedale ci siano mai stati cosi tanti infermi per cagione del morso di questo Rango. Risulta, che sempre piu' da qualche anno si estendono in numero queste bestie, e sempre piu i cittadini potranno incorrere sotto il venefico morso dei medesimi. Tornerebbe assai utile trovare qualche soluzione, se la natura non ci aiuta con qualche mezzo ad estirparli. L'incendiare per tanto le paglie dopo aver pulito le biade, ai piedi delle quali costruiscono per lo piu' i loro bozzoli questi fecondi Falangi, sarebbe il miglior tentativo che si potesse fare, se non per estirpare, almeno diminuire il numero di questi Ragni cosi' dannosi. L'affare e' serio, e di comune rilievo.
Assai caldi e asciutti furono i mesi estivi dell' anno 1788 e copiosi si osservarono questi Falangi nelle nostre campagne. Molte furono le persone che sperimentarono i nefasti effetti del morso di questi velenosi ragni. Tutti, piu' o meno gravi, si curarono col metodo ordinario. Nessuna vittima, fortunatamente, si reclamo'. Aggiungo solo che contemporaneamente a questi ragni regnavano assai copiose i grilli e le cavallette, come anche nell'anno 1787.

Entrando L'Inverno dell'anno 1789 si sperimentarono freddi cosi' intensi di aver poche memorie di altri a questi uguali. Dal 26 Dicembre 1788 al Gennaio 1789 arrivo' il mio termometro a discendere di -4°C e -9°C sotto lo Zero. Diverse Accademie ne hanno fatto opportuni dettagli. Questo gelo cosi' intenso, e costante, fu la causa per la quale morirono moltissimi di questi Falangi Volterrani, sia gli adulti che i piccoli serrati nei bozzoli. Durante l'inverno mi feci portare diversi bozzoli raccolti nella campagna, ed aprendoli vi trovai i piccoli ragni tutti morti dal freddo. Anche una gran parte di quelli che avevo sul mio scrittoio morirono. Dopo questa stagione cosi' rigida, nella Primavera, solo qualcuno di questi Ragni si osservava. Nell' Estate 1789 che venne se ne videro pocchissimi, solo nella parte del mezzogiorno. Oltre la morte del giovane Giovanni Bini, presso Legoli (come gia' descritto in precedenza), Le persone offese in questo anno nei dintorni di Volterra, non furono che solo due, a mia notizia. Dopo i rigidissimi, e continuati geli dell' anno 1803, il numero di questi Falangi è andato sempre in diminuzione. Dal 1789 al 1818 le persone offese fra le pendici di Volterra non sono state piu' che 17; numero decisamente basso in 30 anni, se si pensa che nel solo anno 1787 furono ben 23 le persone colpite. Quasi tutte queste persone, morse, chi nella coscia, nelle natiche, nella mano, e simili, vennero salvato col solito metodo curativo; Non accadde pero' lo stesso per i seguenti sfortunati:
Nel Luglio 1799, il 20, Giuseppe del Testa, di anni 24, fu punto dal Ragno al temporale sinistro nell'atto di rimettersi in testa il suo berretto. Quanto rapidi, altrettanto gravi, furono i sintomi suscitati, fra pene dolorossissime, che quasi incontro' la morte. Fortuna che mi recai da lui prontamente, iniziando le solite cure. Si ristabili', ma si mantenne inabile all'azione muscolare per parecchie settimane.
Disgraziatissimo fu invece tal Giuseppe Mazzolli Fornaciajo, di sessanta anni, Nell' Agosto del 1810. Questo si era coricato a riposare su una quantita' di fascine aridissime: fu punto sotto la mandibola inferiore da uno dei soliti Falngi; il veleno introdotto fu bastante per toglierlo di vita nel breve spazio di mezz'ora.
Nell'estate del 1818 erano ricomparsi un po' qua', un po' la piu' del solitoi detti Falangi, e qualche altre campagnolo ne era rimasto offeso, con i soliti sintomi, senza perdere la vita. iL 10 Agosto 1818, circa il tramontare del Sole, era morto in pochi minuti Francesco Viti, giovinetto di anni 12, per esser stato punto al collo dal venefico Falangio dell'Agro Volterrano. Era cio' accaduto in campagna, al di la del Fiume Era, nel podere "La Casetta", di proprieta' dell' illustrissimo Sig. Marchese Incontri. Poco dopo l' ave maria della sera, Francesco Viti tornava dai Sodi con il bestiame; Arrivo' davanti la sua casa gridando: "Ohi...Ohi...Che acutissima puntura! oh Dio! m'ha pinzato uno di quei maledetti Ragni neri velenosi dei Sodi, qui nel collo", e teneva la mano compressa nella parte. Rinforzo' dopo un po con gli urli gridando " che bruciore... che dolore... mi sento morire... muojo davero. " Intanto non era piu' in grado di reggersi in piedi e lo dovettero sostenere per le braccia, essendo paralizzate totalmente le gambe, mentre ripeteva che " brucio.. muojo...". Portato in casa era molto rigonfiato il collo e la gola, aveva continui stimoli al vomito, privato del suo colorito, e indebolita la voce. Gli sopraggiunse un tremore convulsivo, un gelido sudore, comparve il singhiozzo, e una spuma mucosa nelle narici e nella bocca; Contorcendosi il Giovane senza poter respirare, dopo un quarto d'ora, o poco piu', cesso' di Viver. Nel di lui povero cadavere osservammo che la vescica orinaria aveva scaricato molta copia di umidita' naturale, l'intestino retto si era liberato di naturali e copiosi escrementi, il corpo era irrigidito, con i muscoli fortemente contratti, assai tumefatto il basso ventre. Tutta la testa, il collo e le orecchie, grandemente rigonfi, ma in particolare sul lato del morso, estendendosi il gonfiore fin sotto la clavicola, la scapola e il braccio. Numerose macchie nere sul volto, sul collo e sul torace. Sotto la mandibola inferiore, in prossimita' della carotide, il morso; internamente, un emorragia di sangue nerissimo era presente intorno alla jugulare, gonfia e distratta notabilmente. Questo ingorgo di sangue era presente fino all' orecchio e fino alla meta' della testa, sempre sul lato sinistro, e i vasi erano grossi il doppio del loro stato in natura. La stessa alterazione era presente nel cerebro e nel cervello. I muscoli mantenevano una contrazione quasi invincibile; la lingua accorciata, tumefatta, paonazzo- cupa. L'esofago, la trachea e i brocnhi sinistri denotarono lo stesso grado di alterazione sofferta per il veleno introdotto dal terribile Falangio con la sua puntura. Spaventosa è la storia del Viti. Da questa, e da altre simili siamo istruiti che potentissimo è il veleno del Falangio Volterrano, e per qualcuno mortifero, e che è tanto piu' potente e immediato quanto piu' vicino alla testa è il morso inflitto. Non deve passare sotto silenzio anche la morte di una giovane contadina nel 1819 in una grossa fattorie nelle pianure fiorentine, che morsa dal Ragno mori' dopo poco tempo. Dopo i terribili, gelidi inverni del 1789 e del 1803 il numero di questi Falangi è andato sempre diminuendo. Dall'Estate 1819 al morente Dicembre 1827 non si è piu' veduto alcuno di questi Falangi nell' Agro Volterrano, e nei sui Contorni. Da cio' appare quanto attiva e provida sia la Natura in vantaggio degli uomini. Ella con questa strada, ci ha quasi distrutti questi nocivi ragni, che ormai ci trovavamo quasi nelle mura, e nelle case. Non è da escludere che in futuro, in Alcune particolari calde stagioni, essi si rinforzino di nuovo in altissimo numero, e qualche Fisico che vivra' quegli anni trovera' Nuova la loro comparsa, proprio come quelli che, per errore, asserirono nel 1785 che per la prima volta erano apparsi questi Ragni nelle campagne di Volterra.



IL LATRODECTISMO NELLA PROVINCIA DI GROSSETO (1938 al 1958):

Da un esame condotto presso gli ospedali ed infermerie della Provincia di Grosseto, è apparso che durante il periodo dal 1938 al 1958 solamente alcuni degli istituti ospedalieri, e cioè gli ospedali di Grosseto, Massa Marittima, Orbetello e Scansano e l'infermerie di Manciano, hanno registrato ricoveri per casi di latrodectismo. Gli istituti ospedalieri positivi per casi di latrodectismo appartengono tutti alla zona di pianura e di basse colline che costituisce la fascia costiera della Provincia (Maremma toscana). Cio' non toglie che in numerosi centri, privi di istituti ospedalieri, si siano verificati casi di latrodectismo, curati a domicilio, che per ovvie ragioni sfuggono a questa indagine. Il numero dei ricoverati per morso di Latrodectus è piuttosto alto rispetto al numero dei ricoverati per morsi di serpenti (67 casi). Non bisogna dimenticare tuttavia che gl'istituti ospedalieri esaminati sono solo una parte di quelli esistenti nella Provincia; Nell' estate del 1947 il Dott. Luigi Bini, segnalò un insolito aumento della frequenza dei casi di latrodectismo nel Comune di Orbetello. Nell'Agosto del 1951 un ricovero per morso di Latrodectus avvenne anche fra le campagne di Volterra, a discapito di un contadino di 19 anni.
Conclusioni vent'ennio 38-58: Il totale dei casi di latrodectismo, secondo la calssificazione usata è risultato, complessivamente per gli ospedali ed infermerie considerati, di 303 casi, con un rapporto sessi decisamente in favore dei maschi. Il numero dei casi poco probabili è risultato 105; Il numero di ricoverati per punture di Imenotteri è stato di 1, e per punture di Scorpioni 5. I casi di latrodectismo sono stati segnalati solamente negli ospedali della zona costiera della Provincia. La frequenza più alta dei ricoveri si è riscontrata per l'ospedale di Grosseto. La durata del ricovero è stata di 1-6 giorni, la maggior parte di 3 giorni. Va segnalato che un caso di latrodectismo è risultato letale (ospedale di Orbetello, 1947). Si tratta di un paziente di 52 anni ricoverato nel mese di agosto per morso di Latrodectus al dorso (Il paziente è deceduto durante la prima notte di ricovero.



IL LATRODECTISMO NELLA PROVINCIA VITERBO (1938 al 1958):

Dalle prime informazioni ottenute presso tutti gli ospedali ed infermerie della Provincia è risultato che in alcuni di essi negli ultimi 21 anni non si è mai verificato alcun caso di latrodectismo. Appartengono a questo gruppo gli ospedali di Acquapendente, Orte e Ronciglione, e le infermerie di Bagnoregio, Capranica, Caprarola, Soriano al Cimino e Vignanello. Negli altri ospedali ed infermerie invece, ove il sondaggio è risultato positivo al latrodectismo (Civita Castellana, Montalto di Castro, Montefiascone, Tarquinia, Tuscania, Vetralla e Viterbo) si è effettuata l'inchiesta secondo le modalita' gia' descritte. La numerica dei casi ricoverati è risultata molto alta per Tarquinia (44% dei casi), minore per Montalto di Castro (19%), Viterbo (9%), Vetralla (8%), Tuscania (7%), Montefiascaone (7%) e Civita Castellana (6%). Va tenuto presente, tuttavia, che per Montalto di Castro il numero dei casi va riferito solo agli anni 1947-58 e che per Montefiascone mancano i dati dell'anno 1938. Si consideri inoltre che gli istituti ospedalieri esaminati sono solo una parte di quelli esistenti nella Provincia. Oltre ad ospedali ed infermerie sono stati esaminati anche ambulatori; in alcuni di questi, dislocati nelle aree positive per casi di latrodectismo, si sono attinte le seguenti notizie. Ambulatorio di Canino (precedentemente infermeria): Non sono reperibili i registri appartenenti alla vecchia infermeria ma i sanitari ed il personale religioso dell'ambulatorio riferiscono che i casi di latrodectismo giunti al pronto soccorso sono sempre stati numerosi, ed in modo particolare durante gli anni 1950-51. Il Dott. F. Napoleoni, medico nell'ambulatorio dal 1954, dice di aver curato 2 casi nel 1955. Ambulatorio di Valentano: (precedentemente ospedale). Non sono reperibili i registri del vecchio ospedale. Il Dott. G. Amoroso, medico nell'ambulatorio, dice di aver osservato una decina di casi di latrodectismo, uno dei quali provenienti dal Lago di Mezzano (600 mt!), con una frequenza maggiore nel dopo-guerra. Ambulatorio di Cellere: Il Dott. L. Remoli, riferisce di aver curato 4-5 casi di latrodectismo in quegli ultimi 2-3 anni. Ambulatorio di Carbognano: Il Dott. Michaleff, medico dell'ambulatorio, segnala di aver curato circa 20 casi di latrodectismo negli ultimi 12 anni. Nel caso dei morsi di serpenti (51 casi), la frequenza piu' alta si è riscontrata per viterbo (41% dei casi), seguita da Civita Castellana (21%), Tarquinia (16%), Montefiascone (14%) e Vetralla (8%). Risulta invece che nelle infermerie di Montalto di Castro e di Tuscania nessun caso è stato ricoverato per morso di serpente nel periodo in esame. Appare evidente che la maggior frequenza dei morsi di serpenti si è riscontrata negli istituti ospedalieri ove minore è la frequenza dei morsi di Latrodectus. Questo fenomeno potrebbe avere spiegazione nel fatto che l'habitat di L. tredecimguttatus è nettamente diverso da quello delle specie di Vipera presenti nella Provincia. La classe maggiormente colpita è, come risultato nelle altre province, quella dei lavoratori dei campi in generale. Anche i casi riferibili a militari mostrano una frequenza relativamente alta rispetto ad altre occupazioni. Ciò ha tuttavia la sua spiegazione nella cospicua affluenza di militari in alcune zone infestate da Latrodectus, e specialmente nel territorio di Montalto di Castro (8 casi su 12) sede di campi militari estivi. I casi di latrodectismo si sono verificati in una zona di pianura e di colline (prevalentemente sotto i 300 mt) che va dal mare fino ai ai dintorni dei monti vulcanici di Bolsena (Vulsini) e Vico, non arrivando al corso della vallata del Tevere.
Conclusioni vent'ennio 38-58: L' andamento dei casi di latrodectismo osservati presenta un considerevole aumento negli anni 1946-48, con una punta massima nel 1947. Tarquinia presenta la percentuale piu' alta dei casi di latrodectismo, seguita da Montalto di Castro e quindi dagli altri ospedali ed infermerie che, avendo valori considerevolmente piu' bassi, possono essere considerati tutti circa allo stesso livello. Il totale dei casi di latrodectismo altamente probabili + probabili, secondo la classificazione usata, è risultato, complessivamente per gli ospedali e infermerie considerati, di 234 casi, con un rapporto-sessi decisamente in favore dei maschi. Il numero dei casi poco probabili è risultato di 94. Il numero di ricoverati per punture di Imenotteri è stato di 8 e per punture di scorpioni 4. Non si è verificato nella Provincia di Viterbo durante il periodo considerato, nessun caso letale nei ricoverati per morso di Latrodectus tredecimguttatus.



IL LATRODECTISMO NELLA PROVINCIA DI ROMA (1938 al 1958):

Non sono nuove nella provincia di Roma le segnalazioni di casi di latrodectismo, anzi si può dire che essa sia la provincia per la quale nella letteratura sono stati riportati il maggior numero di casi. Gennari nel suo lavoro sulla sindrome addominale da morso di aracnide, riporta che nelle stagioni estive degli anni 1948-49 furono ricoverati 15 casi nell' ospedale di S.Spirito di Roma. GIULIANI nella sua indagine sulla distribuzione di Latrodectus tredecimguttatus nel Lazio così si esprime: « Una inchiesta sommaria preliminare da noi seguita nella provincia di Roma ci aveva rivelato che, nelle regioni del litorale e particolarmente nei mesi estivi, il numero dei casi di aracneismo sale a molte decine e che la malattia assume di regola gravità così evidente da imporre il ricovero in ospedale. PAMPIGLIoNE descriveva 4 nuovi casi in detto Comune negli anni dal 1934 al 1958. BETTINI, infine, sulla distribuzione dei casi di latrodectismo in ltalia durante gli anni 1949-51, segnala un totale di 33 casi occorsi nella provincia di Roma. La provincia di Roma è divisa verso la sua meta' dalla vallata del Tevere. Nella porzione settentrionale si trova il lago vulcanico di Bracciano circondato da basse Colline che degradano verso Roma e verso il mare, mentre i monti della Tolfa le dividono da Civitavecchia. La porzione meridionale comprende ad Est una zona montana e l'apparato vulcanico dei Colli ALbani, e verso il mare la campagna romana. Questa, unita alla fascia costiera che da Civitavecchia raggiunge Anzio, costituisce il territorio pianeggiante della provincia. Gli istituti ospedalieri risultati positivi al latrodectismo sono quelli di Civitavecchia, di Bracciano e di Velletri. Si tratta di istituti ospedalieri situati, o in pianura lungo la fascia costiera (Civitavecchia), o in collina (Bracciano), o comprendenti nel loro territorio anche una vasta zona di pianura (Velletri). La distribuzione dei casi di latrodectismo corrisponde grosso modo alla distribuzione di L. tredecimguttatus come riportato da GIULIANI. Mentre tuttavia questo segnala che la specie non raggiunge la città di Roma e la Valle Tiberina a Nord della città, casi di latrodectismo sono stati riportati da Fiano Romano, ed esemplari di L. tredecimguttatus sono stati raccolti nella zona della Via Nomentana al confine della città. Numerosissimi sono stati i casi di latrodectismo segnalati da PAMPIGLIONE S. a Cerveteri, in parte ricoverati in ospedale ed in parte trattati a domicilio. I 15 casi d latrodectismo riportati da GENNARI e ricoverati nell'Ospedale di S.Spirito in RomA non sono stati inclusi nella ricerca poichè ne di questi, ne di altri casi probabilmente numerosi, si hanno i dati nosografici. E' opportuno tuttavia segnalare questo fatto per sottolineare che i casi ricoverati negli ospedali extraurbani non sono necessariamente la totalita' di quelli verificatisi nella provincia. La frequenza dei ricoverati per morsi di Latrodectus è molto piu' alta per l'ospedale di Civitavecchia (66% dei casi) che non per l'ospedale di Velletri (23%) e per l'infermeria di Bracciano (11%). I morsi di L. tredecimguttatus sono risultati circa 3,5 volte piu alti del numero dei casi di morso di serpente (50 casi). La frequenza piu' alta dei morsi di serpenti si è riscontrata per Velletri (62% dei casi), seguita da Bracciano (20%) e Civitavecchia (18%). Anche in questa Provincia, come già riscontrato per Viterbo la frequenza dei casi di morsi di serpenti è minore ove maggiore è la frequenza dei casi di latrodectismo, e per lo stesso motivo gia' riportato per Viterbo. Dai dati ottenuti su 90 ricoverati, si osserva che per i maschi la classe degli agricoltori è la più colpita (65%, dei casi). Per quanto riguarda le femmine, il numero dei casi in nostro possesso è troppo basso per qualsiasi considerazione; tuttavia va notato che la classe delle casalinghe è la piu' colpita (73% dei casi), ma va anche ricordato che i soggetti sono morsi dal ragno esclusivamente se effettuano lavori agricoli. IL Considerevole aumento della frequenza dei casi nel periodo 1947-48 nella provincia di Roma trova una relativa corrispondenza nell'andamento della frequenza del latrodectismo della provincia di Viterbo (punta massima nel 1947) e di Grosseto (punta massima nel 1950). La frequenza mensile dei casi va da giugno a Settembre (inclusi) con un massimo nel mese di luglio.
Conclusioni vent'ennio 38-58: L' andamento dei casi di latrodectismo osservati presenta un considerevole aumento negli anni 1947-48, con una punta massima nel 1948. Il totale dei casi di latrodectismo altamente probabili + probabili, secondo la classificazione usata, è risultato, complessivamente, per gli ospedali ed infermerie considerate, di 134 casi, con un rapporto-sessi decisamente in favore dei maschi. Il numero dei casi poco probabili è risultato 38. La frequenza piu' alta dei ricoverati per morso di Latrodectus si è riscontrata per l'ospedale di Civitavecchia. Un solo caso è risultato ricoverato per puntura di scorpioni, mentre 9 casi per punture di Imenotteri. Nel Agosto 1953 un caso di latrodectismo, proveniente da Ostia e ricoverato all'Ospedale di S. Camillo, ebbe lesito letale alcuni giorni dopo il ricovero in ospedale (il ragno che aveva morso il paziente fu identificato proprio come L.tredecimguttatus).



IL LATRODECTISMO DEGLI ABITANTI DI CERVETERI (Pampiglione S. Nuovi Annali di Igiene e Microbiologia, 1958):

Visti i numerosi casi osservati a Cerveteri il dott. Pampiglione ha voluto voluto rendersi conto della frequenza dell'araenismo in questo territorio, Consultando il registro dell'Ambulatorio Comunale e indagando con la popolazione locale. IL comune di Cerveteri è situato poco a nord di Roma, confinando coi comuni di Tolfa e S. Marinella a nord, Manziana e Bracciano ad est, con l'Agro romano a sud e col mar Tirreno ad ovest. Il suo territorio è in parte adibito a culture (seminativo, carciofeto, uliveto, ortofrutticolo, ecc.) e in parte incolto (boschivo, pascolo, incolto-sterile, arenile); alcune zone incolte sono chiuse da recinto, perchè dichiarate di interesse archeologico (necropoli Etrusca). La popolazione, ripartita nel capoluogo e nelle tre frazioni di Ladispoli, Ceri e il Sasso è costituita in gran parte di lavoratori agricoli. L'ambulatorio comunale possiede un registro (molto ben tenuto grazie alla lodevole opera dei medici condotti dott.E. Buglioni, G. Piana, G. Mazzoni e F. Boffi) che ha inizio nel 1934 e presenta solo parziali interruzioni negli anni 1942 e '43 dovute a cause belliche. Si sono presi in considerazione tutti i casi elencati in esso sotto le voci di: "Morso o puntura di ragno velenoso", "Tarantolismo," "Sindrome acuta o avvelenamento da morso di tarantola","morsicatura d'insetto velenoso". Su questa guida sono stati rintracciati il maggior numero possibile di soggetti, interrogandoli e raccogliendo brevi note sulla sintomatologia che li colpì, controllando la diagnosi ed escludendo quei casi dovuti a punture di altri artropodi. Alcuni casi non riportati sul registro d'Ambulatorio (perchè curati in casolari di campagna o inviati direttamente ai vicini ospedali di Roma e Bracciano), sono stati rintracciati interrogando i contadini delle frazioni e dei casolari nelle zone piu infestate da Latrodectus. Pertanto l'elenco riporto dal dott. Pampiglione puo' essere considerato comprendere con molta approssimazione la quasi totalita' dei casi di aranei-smo occorsi dal 1934 ad oggi (1958) nel comune di Cerveteri. Nel territorio di Cerveteri è presente sia Latrodectus tredecimguttatus che Lycosa tarentula. Quest'ultima, forse piu' frequente in passato, è limitata oggi, dopo i lavori di scasso profondo eseguiti in questi ultimi anni e impianto di culture varie, ad alcune zone di pascolo, a qualche uliveto e a parte delle zone recintate e tenute incolte poiché di interesse archeologico (Monte Abbadone, Necropoli della Banditaccia, ecc.). Latrodectus è invece tuttora molto diffuso, sia nelle zone incolte che in quelle coltivate, resistendo meglio al progredire delle culture agricole per l'ubicazione dei suoi nidi nascosti fra massi. La popolazione locale attribuisce maggiore velenosita' a L.tarentula che a L.tredecimguttatus, credenza diffusa anche nelle Puglie, in Maremma ecc. forse a causa dell'aspetto molto piu terrifico della prima rispetto a quello del secondo. Inoltre, similmente a quanto avviene in Sardegna, la popolazione locale di Cerveteri distingue tre "varieta'" di L.tredecimguttatus: la vedova, la maritata e la ragazza; questa distinzione sarebbe dovuta non tanto a diversita' morfologiche quanto a una differente sintomatologia provocata dal morso; i vecchi contadini di Cerveteri dicono in proposito: "La vedova fa piangere, La ragazza fa ridere e la maritata ora fa piangere ora ridere". Tale credenza è probabilmente originata dal manifestarsi della componente psicoaffettiva nella sintomatologia dei soggetti colpiti, per cui alcuni reagiscono con atteggiamenti in prevalenza depressivi, altri maniacali, altri alternativamente maniaco-depressivi. L. tarentula viene chiamata volgarmente tarantola; L. tredecimguttatus viene detto bottone o bottone di tarantola. Rispetto al latrodectismo il tarantolismo sarebbe invece raro: 2 soli casi segnalati nel periodo considerato. E' nostra impressione che tali due casi siano da riferire realmente a L. tarentula, avendoci entrambi i soggetti dato affidamento di veridicità nell'asserire di aver sorpreso l'aracnide sul proprio corpo nell'atto di mordere, ed avendoci dimostrato di conoscerne perfettamente i caratteri morfologici e di distinguerlo dal Latrodectus tredecimguttatus. Durante il corso dell'anno i casi di Latrodectismo risultano cosi' riportati: Giugno: 5 casi, Luglio: 19 casi, Agosto: 5 casi, Settembre: 3 casi, Ottobre: 1 caso. I due casi di tarantolismo annotati si manifestarono uno in Luglio; l'altro in data non precisata della stagione estiva. Nell'anno 1947 si è registrato il maggior numero di casi: 9. Negli anni 1934-35-37-40-41-50 e 51 non sembra si sia manifestato alcun caso di latrodectismo. c) La quasi totalità dei soggetti colpiti appartiene alla categoria dei lavoratori agricoli (mietitori, falciatori, operai addetti alla trebbiatura, alla fienagione, alla raccolta delle olive, ecc.) risultando su 43 soggetti solo 2 non appartenervi: una villeggiante e un piccolo proprietario benestante. I lavoratori agricoli furono sempre morsi dall'aracnide mentre esercitavano il loro lavoro o durante brevi soste di esso; per tale ragione ci sembra evidente che la sindrome debba essere considerata come infortunio sul lavoro. I maschi risultarono molto piu colpiti delle femmine: 34 maschi contro 9 femmine. Tale incidenza è ovviamente dovuta al maggior impiego della mano d'opera maschile nei lavori di mietitura, trebbiatura, ecc., lavori che espongono maggiormente i soggetti a contatto con l'aracnide. Le sedi del corpo umano piu' facilmente soggette ad essere morse sono risultate: arti inferiori: 10 casi, arti superiori: 5 casi, tronco: 3 casi, capo: 1 caso, tronco: 3 casi, capo: 1 caso. Agli arti inferiori gli aracnidi pervennero generalmente risalendo dal suolo; agli arti superiori, di solito, per contiguità da covoni di grano, fasci di fieno, ecc.; nell'unico caso di morso al capo il ragno pervenne in quella sede essendosi nascosto in un cappello che era stato appoggiato su un sacco di grano per pochi minuti e che il relativo padrone si era poi rimesso intesta. Nei due casi di morso attribuito a L.taraentula l'aracnide colpi' il polpaccio. Dallo studio dei casi sopra riportati si possono fare le seguenti considerazioni : Il latrodectismo è abbastanza frequente nel territorio del Comune di Cerveteri : 43 casi in 25 anni, con una media di quasi 2 casi all'anno. Questa media è relativamente alta se si considera che l'estensione della zona di Cerveteri è di soli 3x2 chilometri.



IL LATRODECTISMO IN CAMPANiA (1980 al 1991):

L'antropologa documentarista Annabella Rossi e l'enografa Patrizia Ciambelli negli anni 80 realizzano un indagine sulla diffusione del latrodectismo e del tarantismo in Campania. L'indagine viene effettuata in particolar modo in Cilento, fra la Piana di Paestum, la Valle del Sele e i paesi immediatamente limitrofi dove questo fenomeno era particolarmente diffuso. Vennero cosi' visitati e intervistati gli abitanti dei paesi di Battipaglia, Capaccio, Castel San Lorenzo, Contursi, Ponte Barrizzo, Roccadaspide, Santigloria, Tempa San Nicola, Trentinara, Albanella, Borgo San Cesareo, Giungano, Gromola, Laura di Paestum, Matinella, Paestum, Piana, Serre di Roccadaspide. In totale si effettuarono un centinaio di interviste, registrate su cassetta. Come accaduto in altre zone d'Italia, il ragno pungeva contadini e braccianti, sia uomini che donne provocando un malessere serio e generale, con dolori, febbre, sudorazione, crampi addominali e la quasi paralisi degli arti, soprattutto quelli inferiori. La descrizione di questi sintomi, e soprattutto del ragno descritto dai contadini, ricade proprio sul Latrodectus tredecimguttatus, la malmignatta, sebbene anche qui veniva chiamata popolarmente "Tarantola". Parti di alcune di queste interviste sono sono qui di seguito riportate:

«come un ragno con una pallina sopra; tutta puntinata, tutta a schizzi verde e nera, nera e rossa»
«è rotonda come una pallina, tiene appena come un po' di gobba e tiene sette otto puntini rossi»
«hanno un pallino sopra come un bottoncino ...(Giungano)»
«tiene quella pallina dietro, è tutta nera e puntini piccoli rossi...(Capaccio)»
« Predilige i luoghi aridi esposti al sole, ricchi di sassi, con vegetazione bassa; non è aggressivo, ma timido e pauroso. Tende quindi a nascondersi sotto le pietre o nelle fessure dei muri e capita talora nelle case coloniche, sempre in campagna nei luoghi asciutti, lontano dalle case (Paestum).»
« era nera coi puntini rossi ... »
« sono puntinate... deve stare sempre arragnata...ce ne stanno a mucchi sotto i pietri al cimitero nuovo ci stavano sti buchetti e di la escono.. »
« Si distingue dal ragno perché lei è nera, tutta nera, il fondo nero e poi c'ha i puntini rossi. Noi l'ammazzavamo... »
« non mozzica se non trova il sudore addosso alla persona (Trentinara) »
« quando non piove stanno più arrabbiate, quando piove è piu' difficile che mozzichino »
« messo sull'asino non potevo stare all'impiedi e mi hanno messo come un sacco, perché erano come tutte spezzate le ossa »
« È rimasto a letto per alcuni giorni e quando se ne è andata la tarantola lo ha lasciato "scemonu-to" »
« dopo il morso mi feci un pezzo, un pezzo e non mi potevo muovere »
« Si era fatto un poco livido dove mi aveva morso. Era sotto la gamba, al polpaccio. Stetti due giorni a sbattere, sempre a sbattere. Mi venne il dolore e tanta la sudata che feci che bagnai tutti i materassi, stetti piu' di una settimana che non potetti andare in campagna. Non potevo mangiare ne muovermi »
« sentii come un prurito allora mi sono andato a grattare pensando che era qualche formica magari, ma in in tutti i modi continuava a fare prurito. Allora là stesso il trattorista là mi prese con la motocicletta e mi portò dal medico perché io cominciavo a sentire male. Incominciai a sentire il male salire. Cosi' arrivato alla pancia poi dalla pancia è salito al petto, il petto si stringeva come una morsa così proprio come se fosse passata una ruota di trattore sul mio corpo, e la paura della morte»

Sulla base sintomatologica della crisi di avvelenamento da Latrodectus anche Qui la cultura popolare ha elaborato una serie di risposte simboliche e musicali, che all'immediatezza dei sintomi fa corrispondere una sua interpretazione mitico- rituale. Nel Cilento l'aracnide è detto " trumiento o friscariello", a cui viene dato spesso un nome proprio "Nunziatina, Giovannina, Alessandrina ecc. nome che viene rivelato dal tarantolato nel momento della guaragione, con la suddivisione del suo status civile, proprio come nella trradizione Sarda: Sposata, vedova, gravida, bambina. Come nella tradizione sarda il morso puo' generare, soprattutto nell'uomo, confusione sessuale: egli diventa donna, manifestando il sesso dell'animale che l'ha morso e comportandosi di consegueza. Anche qui la "terapia" per la guarigione consisteva nel ballo frenetico, ballare senza sosta e senza bere, per espellere col sudore piu' veleno possibile. La guarigione avverrebbe molto piu facilmente se l'aracnide non è stato ucciso immediatamente dopo il morso. Infatti, se il morsicato avesse anche solo per errore, ucciso il ragno, questo si sarebbe vendicato:

« c'era appizzicata la tarantola vicino, la levai ma non l'uccisi perché si diceva che chi l'uccideva passava più guai. »
« mi diede tanto fastidio perché l'uccisi ... ucciderla è peggio perché dice che muore e ti fa soffreire piu' malamente se lei muore ... »
« Non la uccisi perche' se non la uccidevo non avrei sofferto tanto dolore..»

Dopo un lungo ed estenuante rituale, al ritmo della pizzicarella, la tarantola si manifesta, rivela il suo nome e saluta, a volte promettendo di ritornare dopo vari anni..

« Stavo sempre dentro al letto, se vedevo fiori, se vedevo una cosa così, non c'era niente.. Lei poi mi disse che era una giovane come voi (rivolta all'intervistatrice), disse "Io sono la moglie di capitano, fra sette anni ritorno un'altra volta".. Ma io non capivo niente »
« Mi misero in una caldaia, mi hanno fatto stare una mezz'ora, quanto mi sentivo di resistere, poi tutto sudato mi misi ad asciugare. Era d'estate, perchè quelle d'inverno non circolano neanche. La tarantola mia si chiamava Giovanna, stava ad Agropoli ma era una napoletana, dice che si stava 40 giorni a villeggiare ad Agropoli, e poi se ne andò.. »



IL LATRODECTISMO IN SARDEGNA E IL MITO DELL'ARGIA:

La Sardegna è probabilmente la regione in cui la malmignatta (L.tredecimguttatus) è maggiormente diffusa, sia per la poca antropizzazione che, soprattutto, per il clima mediterraneo caldo, caratterizzato da paesaggi pietrosi e semiaridi in estate, tipicamente abitati da questa specie. Qui la malmignatta prende il nome di argia oppure di arga, arza, alza, varza, vaglia, soloiga, suiga (solfuga-solifuga), a seconda della zona. L’argia mordeva (e morde) nei mesi estivi, durante la mietitura, la spigolatura, durante la raccolta delle fave o durante il pascolo. Le vittime erano quasi esclusivamente uomini. [Faccio presente che con il termine di argia, veniva chiamata in Sardegna anche la femmina della Mutilla, una grossa vespa terrestre e priva di ali, dalla colorazione rosso-nera e dalla puntura molto dolorosa; Anticamente chiamato "ragno vespario" perchè molto simile alle vespe ma privo di ali (De Morsu Araneorum, Ambroise Paré 1582)]. I casi di latrodectismo in Sardegna sono stati da sempre numerosi, non è un caso quindi che il mito dell' argia abbia origini antichissime, lontane nel tempo. Secondo una leggenda sarda le argie sarebbero anime malvagie di peccatori che il giorno del Corpus Domini si rifiutarono di rendere omaggio a Gesu', e trasformati in ragno furono condannati a questo ruolo infame in eterno. Cosi' per vendetta sferrano i loro morsi velenossissimi che pero' possono esser mitigati da tre giorni di canti e balli. In altri luoghi della Sardegna l'argia era lo spirito di una donna suicidatasi per amore che per vendetta mordeva le sue vittime e si insinuava in esse. Quando il malcapitato veniva morso da un argia (malmignatta) era in preda a violenti crampi addominali, sudorazione, febbre, brividi, grave astenia, malessere generale, delirio (sintomi tipici e reali del latrodectismo); Un avvenimento del genere colpiva non solo il malcapitato ma l'intera comunita' agropastorale sarda, perchè, pur trattandosi di una sola vita, ogni singola vita era indispensabile nella collettivita'. In Sardegna (come per Cerveteri) venivano distinte tre tipi di argia a seconda della potenza del veleno; la nubile (bagadia), la maritata (cojada) e la vedova (fiuda). Nel rito "esorcistico" il primo scopo era quello di individuare il tipo di argia che aveva posseduto il malcapitato, per soddisfarne le richieste e per placarne i sintomi. Intorno all'avvelenato ballavano cosi' 7 nubili, 7 maritate, oppure 7 vedove, a seconda dei casi diagnosticati; se l' "argiato" non guariva col ballo delle nubili probabilmente era stato morso da un argia maritata, se non guariva col ballo delle maritate sicuramente era stato morso da un argia vedova e cosi' via. Faccio presente pero', che oltre all'argia nubile, maritata e vedova, in alcuni paesi si distinguevano l' argia bambina (pizzinna), l’argia fidanzata (isposa), sedotta (collionada), partoriente (prentoxa) e l’argia anziana (beccia). Cosi', ad esempio, l'argia bambina gradiva essere accudita o coccolata con canti da ninna nanna, l'argia nubile, fidanzata o sposata gradiva canti d'amore e durante il ballo poteva scegliere un patner (simbolico), fra i partecipanti, l'argia vedova non gradiva divertimenti ma accetava soltanto cori di lutto, l'argia partoriente gradiva tenere una pupa fra le braccia o addirittura ne simulava il parto. Durante i rituali potevano avvenire atti destabilizzanti per una rigida comunità agropastorale conservatrice e castigata, trasgressioni illecite ed oscene che la morale non avrebbe permesso, ma a cui il morso dell'argia offriva un alibi giustificativo efficace. In alcuni paesi il corpo del poveretto veniva posto in un forno caldo, affinchè con il calore lo spirito dell' argia uscisse dal suo corpo, oppure messo in un sacco di iuta e immerso nel latame fino al collo. In altri paesi il corpo era immerso nel letame direttamente nudo. Faccio notare che similmente, anche in Corsica e in Campania (come gia scritto precedentemente), i malcapitati venivano posti in forni caldi per eliminare il veleno tramite il sudore del corpo. Questo avvolte veniva potenziato facendo bere Vino. Come un vero e proprio esorcismo l'argia veniva interrogata fino a manifestare chi era, da che paese veniva e il motivo della sua disperazione. Canti e balli duravano anche per tre giorni fino a quando, ottenute tutte eseguiti tutti i desideri e le condizioni, l'argia lascia il corpo del malcapitato; questo si manifestato ovviamente col miglioramento delle condizioni dell' avvelenato. I contadini sardi temevano l'Argia, come una maledizione, come pericolo mandato dal demonio (Clara Gallini, I rituali dell’Argia, 1967; Francesco Alziator, Il mito dell’Argia Ichnusa, 1956 .


Comare arza, comare arza mia
non fatèdas male a sa pessone mia
non fatèdas male a sa mia pessone
bos ap’a narrer mutos e cantones, mutos e cantones de onzi zenia
comare arza... comare arza mia"..
("Comare arza, comare arza mia, non fate del male alla persona mia, non fatte del male alla mia persona, vi narrerò stornelli e canzoni, stornelli e canzoni di ogni genia, comare arza, comare arza mia)".

l'argia, la dipinta, la tarantola, il maggiolino, lo scorpione, il calabrone.. dio li maledica

S'argia pinta pinta
fazzeis fillus trinta
fillus trinta fazzeis
unu po monti ndi pongeis
unu po monti unu po baccu
non mudras prus ca mudriu t'happu.
Cun i su camvu de s'accamingioni squartarì ca t'appu nau sa canzoni..


IL LATRODECTISMO E IL TARANTISMO IN SICILIA:

Secono la check list dei ragni italiani, sia Lycosa Tarentula che Latrodectus tredecimguttatus sono presenti in Sicilia. Tuttavia, mentre della prima, prove fotografiche sono soventemente giunte, solo nel 2019 sono giunte le prime foto di Latrodectus in Sicilia, dai dintorni dell'agro di Milazzo. Nella letteratura antica proprio dalla Sicilia arrivano le prime notizie di avvelenamenti e sofferenze legati al morso del ragno popolarmente chiamato "tarantola"; Nel 1064 Goffredo Malaterra scrisse di un avvelenamento di massa delle truppe Normanne accampate a Palermo:

"Grata memoria della miracolosa grazia, che ottennero
le truppe normanne di venir liberate
delle velenose morsicature di tarantole nelle gambe,
per cui a migliaia a morte portavansi".

A queste morsicature non sembrava esserci nessun rimedio efficace a meno di un intervento divino della Madonna, oltre che un intervento di igiene e bonifica del territorio che allontanasse il ragno dall’uomo e una "terapia" che producesse calore e sudorazione forzata bevendo vino e col calore del fuoco o teglie calde. Nel testo del Malaterra (traduzione di Armando Polito) si legge: " ..Alla fine giungono a Palermo, e le tende furono fissate per ordine del duca, che presto se ne pentì, sul monte che poi fu chiamato Tarantino dall’abbondanza di tarante dalle quali il loro esercito lì fu molto tormentato, Infatti tutto il monte è disseminato di tarante, ripugnante per uomini e donne, sebbene esso abbia offerto un risibile riparo a coloro che vi erano saliti. La taranta è un verme avente l’aspetto del ragno ma un pungiglione velenoso dalla dolorosa puntura e infonde in tutti coloro che ha punto una diffusa e venefica flatulenza e sono tormentati a tal punto che non sono in grado in nessun nodo di placare la stessa flatulenza che vergognosamente crepitando esce attraverso l’ano e si dice che corrono pericolo di vita se non viene applicato al più presto il calore di una teglia o qualsiasi altro che riscalda piuttosto energicamente ".
Proprio come gia' osservato per la Campania, la Sardegna, e la Corsica, riscaldare il corpo e somministrare Vino era uno dei metodi usati dopo il morso del Latrodectus. Anche il dolore e la meteorizzazione del ventre sono alcuni dei sintomi che il Toti associava al Latrodectismo. Anche secondo la tradizione siciliana ci sarebbero vari tipi di tarante, divise in "ballerina" e "nacalara". Secondo il Pitre' (letterato e antropologo), nel primo caso "muzzicuna di tarantuli abballerini" si guariva col solito ballo, nel secondo l'unica soluzione era quella di cullare l'ammalato, che in questo caso si chiama "racalmuto"; Secondo la descrizione del Meli invece, come provato da un prete di Cinisi, uno dei rimedi al morso del ragno era quello di porre sulla ferita il ragno ucciso: solo la taranta poteva guarire la piaga da lei stessa procurata. L'unico altro rimedio era avere la benedizione di San Polo. Preziosa e sperata era anche l'opera di S. Vito; A questo Santo facevano un pellegrinaggio al Capo (Trapani) coloro che erano stati morsi dai ragni. Pitre': I tarantati, o morsicati dalle nostre tarantole, che pure nella Sicilia son velenose molto, vediamo noi, che involontariamente e quando stan maggiormente querelandosi d'una estrema languidezza, all'udir che fanno uno speciale sono d'appropriato strumento, adattato alla specie della tarantola che li punse, sbalzano improvvisi dal suolo, ed imprendono un ballo da forsennati, saltando furiosamente per piu' ore continue...Al fine non lassi eglino, ma stanco il suonatore, mandan fuori con copioso sudore il veleno.





LA TARANTOLA (LYCOSA TARANTULA):

La tarantola (Lycosa tarantula, Linnaeus 1758) è un ragno di dimensioni relativamente grandi che si trova in alcune regioni del Mediterraneo, Italia compresa. Oggi col nome "tarantola" vengono erroneamente indicati enormi ragni tropicali, le migali. In realta' il nome tarantola, tipicamente italiano, è stato coniato proprio per indicare la Lycosa tarantula e deriva proprio dalla citta' di Taranto dove questo aracnide sembrava particolarmente diffuso. G.M.Carusi, 1848: " Linnaeus, Latraille ed altri l'appellarono Lycosa tarentula, cioè lupo, perchè vorace carnivoro ed insidioso come questo ditigrado ". Vive all'interno di cunicoli che scava nel terreno, profondi 20-40 cm, in genere in pascoli aperti, brulli, tendenzialmente aridi in estate, dal livello del mare sino a circa 1500 metri di quota, in alcune aree della Toscana, Umbria, Abruzzo, Lazio, Calabria, Puglia, Basilicata e Sicilia. In Sardegna e Corsica è presente una specie molto simile, la Lycosa oculata, o tarantola sarda. Altre specie dello stesso Genere ma presenti solo in Sicilia, come Lycosa munieri e bedeli, sono facilmente confondibili con Lycosa tarantula. Altri ragni italiani simili alla tarantola ma di diversa famiglia e dimensioni minori sono l' Hogna radiata e la Zoropsis spinimana. Il morso della tarantola è molto doloroso, ma non da assolutamente la sintomatologia del ballo compulsivo che si sviluppava nel "tarantismo" e per il quale la tarantola stessa ne divenne il simbolo, il simbolo del delirio allucinatorio..

IL TARANTISMO DEL MERIDIONE ITALIANO:

"Questa è la terra di Puglia e Salento, spaccata dal sole, e dalla solitudine, dove l'Uomo cammina sui lentischi e sulla creta, scricchiola e si corrode ogni pietra, da Secoli. Anche le case grezze, le chiese, destinate alla misura del dolore e della speranza seccano, e cadono nel silenzio..avara è l'acqua a scendere dal cielo, gli animali battono con gli zoccoli un tempo che ha invisibili mutamenti. E' terra di veleni, animali e vegetali. Qui, esce nella calura il Ragno della follia e dell'assenza, si insinua nel sangue di corpi delicati che conoscono soltanto il lavoro arido della terra.. Qui, cresce tra le spieghe del grano e le foglie del tabacco la superstizione, il terrore, l'ansia di una stregoneria possibile"...(Salvatore Quasimodo)

IL tarantismo è indubbiamente un derivato del latrodectismo, ed ha quindi le medesime antiche origini; diviene famoso nell' Italia meridionale, in particolare dal medioevo, e si protrae fino a poche decine di anni fa. Si diffuse anche in Spagna. I rituali per far guarire le reali vittime di morsi di malmignatta (Latrodectus tredecimguttatus) in preda a crampi addominali, dolori e febbre alta, inizialmente dovevano esser molto simili a quelli praticati in Sardegna. Nel meridione italiano pero' questi morsi venivano erroneamente attributi alla piu' grossa, vistosa e terrifica Tarantola (Lycosa tarantula) molto diffusa nel sud Italia e in Puglia; Non a caso, negli studi che seguiranno il XI secolo, il ragno artefice del tarantismo o tarantolismo verra' rappresentato proprio come Lycosa tarantula. Dall'inizio del medioevo il tarantismo divenne non piu' il semplice morso venifico di un ragno ma un fenomeno molto piu' ampio e complesso, di carattere psicologico, simbologico, mitologico, religioso, pagano, magico e superstizioso, legato ad una condizione psichica sociale dei contadini pessima e depressiva, che trovava nel velenoso ragno detto "Taranta" o "Tarantola" un colpevole, un pretesto, un capo espiatorio per il loro "male interiore", per la perdita del loro equilibrio psicofisco; Tensione e stress di vite spesso miserabili, che potevano scoppiare in comportamenti non più socialmente controllabili ma per i quali il morso della tarantola dava la giusta attenuante.

Antidotum Tarantulae... I potenziali effetti del veleno di alcuni ragni erano gia' conosciuti fra gli antichi; Gia nel 400 a.C (2400 anni fa) l' ateniese Senofonte (Xenophon) nei suoi Memorabilia narrava di ragni, all' epoca detti falangi (Phalanx, Phalangius, Phalangium) che infliggevano con il loro morso agli uomini gravi dolori, fino a farli uscire di senno. Aristotele attorno al 350 a.C. descriveva un phalangium detto 'lupo minore', che non tesse tele ma vive in buche nel terreno, caratteristica delle tarantole. Plinio e Dioscoride nel I secolo a.C (80 a.C. circa) descrivono ancora ragni velenosi, distinti in falangi e solifughe; Uno dicono assomiglia all'acino d' uva, l'altro a uno scarafaggio senza ali; La puntura di uno è simile a quella della Vespa, dell'altro a quella dei velenosi scorpioni, avvelenamenti ai quali pero' non viene attribuito alcun tipo di danza o rito particolare; Una sorta di tarantismo o "male popolare" chiamato "AntencaSmon" si diffuse attorno all'anno 1000 con il "presunto" morso di cani rabbiosi, e veniva descritta come una "mania oltremodo pericolosa", blasfema, maniacale, manesca, morsicatoria, a volte suicida ed omicida ; Si pensava che questi infermi fossero tormentati e feriti da orde di demoni, e stranamente si dilettavano e saltavano solo al suono di musica di alcuni strumenti; Nel 1064 Goffredo Malaterra fu il primo a descrivere i tormenti del morso di un ragno chimato tarantola (vedi sopra). Nicola Perotti, dottissimo filologo Napoletano del 1400, è il primo, probabilmente, che abbia parlato di Tarantola e di Tarantismo. Dopo aver descritto il 'ragno terrestre' egli descrive il morbo da esso provocato con le seguenti parole:
"il morso della Tarantola di raro uccide un uomo, ma lo rende quasi stupido ed in vario modo lo afflige.
Alcuni sono cosi' eccitati nel sentir suonare o cantare che non si fermano se non stremati o mezzi morti.
Altri piangono di continuo, menano una vita miserabile; altri eccitati, presi da un improvvisa libidine, si avventano su qualche donna;
altri infine muiono piangendo, altri ridendo. "

Molti scrittori, dopo di lui, si sono sforzati di accreditare questo errore popolare ad onta degli sforzi contrari di molti medici illuminati ed esperti naturalisti che hanno fatto eco alle lezioni accademiche e magistrali sopra questo Animale. Leonardo da Vinci menziona la Tarantola agli inizi del 1500 nel suo bestiaro, asserendo che il suo veleno "congela lo stato d'animo in cui la vittima è al momento del morso". Scrive il P.A.Mattioli nel 1549 " questi ragni o falangi prendono il loro nome da Taranto, città del regno di Napoli, dove ne nasce gran copia, si chiamano tarantole, le quali fanno veramente diversi e strani accidenti ne gli uomini che elle mordono ". Nella prima meta' del seicento il fenomeno era ormai entrato nel sistema culturale europeo; Nel 1664 L' olandese W. Schellinks, durante il suo tour in Italia assiste ad una tarantata a Napoli: " IL tarantismo è una malattia originaria della Puglia dovuta al morso di un ragno; i tarantati ballavano senza ritegno e posa; i musici dovevano suonare e non lasciar mai riposare il malato perché sudi in abbondanza e tutto il veleno esca dal suo corpo o diminuisca " Il Bellonio descrive con estrema esattezza un ragno o Falangio abitatore dell'Isola di Creta, il quale si rivelera' identico alla Tarantola gia' descritta precedentemente dal Perotti. Nel 1666 anche lo scritore tedesco Adamo Oleario descrive questo ragno e lo raffigura, avendolo visto in Persia presso Kaschan, della stesa forma delle tarantole che venivano descritte in Italia. Anche il gesuita, filosofo e storioco AThanasiiuS Kircher nel 1670(nella sua ricerca dei poteri terapeutici della musica) descrive il ragno e gli effetti del suo morso, asserendo addirittura che " i Sonatori dopo aver domandato al paziente di quale contrada e di quali fattezze sia stata la Tarantola che l'ha ferito, si portano in quel preciso campo, dove rivolgono varie musiche a tarantole e ragni di varie forme. Se una determinata razza di tarantole reagisce ad un determinato suono saltando allora è quella la razza che ha morso lo sventurato e i sonatori tornano a casa del tarantato gia' certi della canzone che guarira' il suo male ". Lo stesso Kircher inserira' nelle sue illustrazioni l'antidoto per il morso della tarantola, un brano scritto in musica dal titoto "Antidotum Tarantulae" (visibile nell' illustrazione che segue).
Nel suo Nouveau Voyage d' Italie (1691) il francese F.M.Misson scrive: " Quando qualcuno è punto da questa malaugurata bestia si fanno cen-to diverse mosse in un momento. Si piange, si balla, si vomita, si trema ,si ride, s'impallidisce, si grida, si sviene, si soffre gran dolore e finalmente dopo qualche giorno si decede, se uno non è soccorso. IL sudore e gli antidoti sollevano l'ammalato, ma il sovrano, ed unico rimedio è la musica "
Della stessa opinione l' italiano, medico e scienziato Baglivi Giorgio nel suo trattato “De anatome, morsu et effectibus Tarantulae” del 1696; Esso pero' distinse due tipi di intossicazione causati dal morso di questo ragno, quella reale e quella simulata. Secondo il Baglivi infatti, fra i numerosi intossicati reali dal morso della tarantola, alcuni fingevano. Descrive inoltre tre tipi di tarantole, la “tarantella subalba” (molto probabilmente il maschio della tarantola), la “tarantella stellata” (la femmina della tarantola) piu' velenosa della prima, e la “tarantella nera o uvea”, la più pericolosa e addirittura mortale (riconducibele semza ombra di dubbio alla malmignatta, Latrodectus tredecimguttatus); aggiungeva che anche la puntura dello Scorpione italiano doveva esser curata con il ballo e con la musica:

" Nel momento del morso la tarantola inietta un fluido quasi impercettibile, il veleno,
che uccide subito il paziente col suo contagio,
ove non siano pronte musica e danza
"

Ascolta, l'Antidotum Tarantulae


Ancora nel 1706 la tarantola è descritta dal monaco celestino Ludovico Valletta, soprannominato 'il monaco che cercava tarantole', nel suo De phalangio Apulo. Nicola Caputi nel 1741, con il suo De Tarantulae Anatome et Morsu ribadisce l’efficacia della danza come cura possibile contro i morsi di questo ragno. Francesco Serao nel 1742 in Lezioni accademiche sulla tarantola o sia falangio di Puglia, dubita e nega gli straordinari effetti di questo morso:

" Non saprei per quale origine i tarantolati hanno il piacere di avere armi nude, e ben sorbite alle mani; le quali nel bel mezzo del ballo gentilmente brandiscono;
ed alcuna volta incivilmente impugnano contro qualcuno dei circostanti, non senza spavento della moltitudine; e talora con pessimo consiglio rivolgono contro se medesimi,
tirando fuori dal proprio corpo qualche stilla di sangue, con orrore e compassione dei presenti...
Come se il mal del tarantismo altro non fosse, che un effetto di rabbiosa ira, con cui quella bestia guardasse fino alla morte quella povera gente,
che le fosse una volta caduta nelle mani..."

Il compositore italiano Stefano Storace fu legato al tarantismo per aver "curato" alcuni tarantati attraverso l'esecuzione di tarantelle. Storace nel 1753 racconta di tarantati in preda a crisi convulsiva non appena si smetteva di suonare e che gli stessi riprendevano il ballo non appena il suono riiniziava. Aggiunge che nella sua citta' (Torre Annunziata) per curare questo "male" si ricorreva ad un religioso che fosse anche musicista e terapeuta.
" IL tarantato salta in maniera selvaggia e corre su e giu per la strada. Il poveretto chiede una spada che brandisce pericolosamente con cui si ferisce gravemente le mani e i piedi, continuando a ballare. La lenta emorragia fiacca la resistenza del danzatore, il cui ritmo rallenta progressivamente; per cui la giante raccomanda il violinista di adeguarsi e di suonare con un tempo piu lento. Dopo due ore il paziente crolla al suolo. Il pubblico lo soccorre e lo porta in una casa vicina.. "

Gia' nel 1800 gli effetti nefasti del morso della Tarantola cominciano ad essere screditati ed analizzati in maniera piu' scientifica. Riporto alcune parti della lettera scritta da Francesco Cancellieri al Ch. Sign. Dottore Koreff Professore di Medicina nell' universita' di BerLino, sopra il Tarantismo l'aria di Roma e della sua Campagna, 1817:
"La Tarantola ha sortita a sua denominazione dal territorio di Taranto ove se ne trova in gran copia. Vi sono due animali che gli italiani chiamano Tarantola. Una è una specie di Lucertola, che si trova in tutta la penisola soprattutto verso Fondi, Gaeta e Capua, ove si dice che il loro morso sia micidiale. Questa lucertoletta, o specie di Salamandra detta anche in romanesco impropriamente "tarantola" è frequentissima in Roma e negli Stati Romani. Ella è innocente, benchè assai temuta. E' questa una specie di Stellione (alla latina) o Asteria, Asterione (alla greca) chiamata oggi lucertola verminara o Geco (Tarentola mauritanica). La vera tarantola è quel grosso ragno di campagna, o Falangio, volgarmente a volte chiamato Tarantella per distinguerlo dalla tarantola salamandra-Lucertola. IL suo Nome Linneano è Aranea Tarntula. Trovasi nei paesi meridionali, ed anche nella campagna di Roma, massime nell' Estate, ed abboanda nella Puglia, provincia del Regno di Napoli. Incontrasi talora nella campagna Tarquinense, e nella camapgna Corniculana (Perotto), nell'Abbruzzo, talvolta se ne incontrano nel Patrimonio e nelle Maremme di Siena, nel territorio di Roma, nel Sannio, sulle alture del Carmine del Molise, nella Lucania, nelle colline di Reggio in Calabria, in Sicilia e in genere nei luoghi piu caldi dell' Italia (Geoffroy, Homberg in atti dell'accademia delle scienze di Parigi). Il nostro sig. Ricciuoli presento' una sera dello scorso mese due Tarantole Falangi da lui trovate nelle nostre campagne di Roma. Il suo morso è venefico; ma effetto di tal veleno non è certamente l'estro di ballare, o il furor di danzare conosciuto sotto il nome di Tarantismo e non curabile se non col suono e con la danza. IL facetissmo Francesco Berni non poteva meglio descrivere questa volgare opinione che co'i seguenti versi:

" Come in Puglia si fa contro al veleno di quelle bestie,
che mordon coloro, che fanno poi pazzie da spiritati,
e chiamansi in volgar Tarantoalti.
E bisogna trovar un, che suonando un pezzo,
trovi un suon, che al morso piaccia,
sul qual ballando, e nel ballar sudando
colui da se la vera peste caccia. "

La musica a quanto pare puo' realmente giovare ai morbosi effetti di questo veleno, eccitando l'ammalato, e liberandolo da quel languore, da quella grave sonnolenza, ed oppressione di cuore che forma il principal carattere di questo avvelenamento, mai pero' pericoloso o mortale, ma capace di riprodursi spontaneamente ogni anno nella medesima stagione. In realta' i comuni farmaci bastano a guarire dall'eventuale morso del ragno come accertato dal valentissimo prof. Giuseppe de Matthacis, che nell' istituto romano di medicina ha pure trattato qualcuno dei nostri campagnoli romani morsi dalla Tarantola. IL Tarantismo nel senso volgare è una vera malinconia o malattia mentale, cui bisogna necessariamente soddisfare con musica corrispondente. Non a caso Francois B.de Sauvages annovera questo morso come "mentale" e lo crede endemico della Puglia e di altri paesi meridioanli, specialemnte nell'estate. Aggiunge, come asserito dal Baglivi, che alcune tarantate fingono e che i suonatori piu' esperti sono gli unici a scoprire queste "imitatrici", ma si guardano bene dal mandarle via perchè eran spesso quelle che pagavan meglio. IL Baglivi narra di Bernardino Clarizia, un allievo dei migliori del dott. Tommaso Cornelio, che nell'Agosto 1694 si fece mordere a Napoli da due Tarantole nel braccio denudato, alla presenza di sei testimoni, e di un Notaio, senza che soffrisse per cio' il Tarantismo, ma solo i soliti effetti di gonfiore, dolore e prurito per tale morso. Questo esperimento sara' ripetuto nel 1795 dallo studioso Oliver Goldsmith, nel suo viaggio scientifico per l'Italia meridionale, ove procuro' che un suo servitore fosse morso da una tarantola. Anche in questo caso non si scateno' il tarantismo, ma solo gli effetti sopra citati. Tempo fa, un saggio gentiluomo e degnissimo di fede mi ha assicurato che era stato testimone di questa infermita', e della sua guarigione: " Facendo noi viaggio per la Puglia, paese caldissimo, d'estate nei giorni canicolari, sentivansi da tutte le parti risuonare tamburi, e strumenti musicali da fiato, e domandando noi, qual fosse la causa di questo, ci fu risposto che con que suoni si curavano quelli che eran stati morsicati dalla tarantola. Per desiderio dunque di vedere come succedesse la cura di questo male entrammo in una terra, dove vedemmo un giovane, che da repentino furore agitato, e con la mente alienata da'i sensi ballava, muovendo mani e piedi, non con mala grazia, al suono di un tamburino, e parean che sentisse gran conforto da questo suono. Quando il suonatore prendeva uan pausa, l'infermo si fermava patendo quasi un deliquio d'animo. Quando poi si toranva a toccare il tamburo ripigliava il ballo e i gesti che poco prima aveva fatto ". A questo aggiungo una lettera del Sign. Dott. Domenico Sangenito, uomo dotto ed onesto del paese delle Tarantole, cioè di Lucera (o Nocera dei Sarraceni), nel Regno di Napoli: " Nascono le Tarantole non solamente nella Provincia di Bari, Lecce ed Otranto, ma anche in quella di Capitanata, vicino alla cui Metropoli Lucera sono io nato. Nei giorni calorosi dell'estate, o prossimi ad essa stagione, si trovano nelle buche della terra, e volendole prendere, bisogna con una sottil bacchetta o stelo d'erba dolcemente fischiando toccarle, che subito per la bacchetta in su vedrete sbucarle. Di color sono varie una dall'altra, ed io ne ho vedute cinericie, e di un color lionato, cosi' scuro come le pulci, e con qualche macchia che sembra piccola stella. Ve' ne sono altresi' nei monti che con la nostra Puglia terminano. Se avviene che mordano non fanno molto male. Ma alcuni che sono morsi, dopo alcune ore con voce inarticolata si lamentano, e se si domanda loro cosa li affligge, molti risposta non danno, ma solamente con occhi torvi guardano e fanno cenno colla mano sul cuore. Cosi' gli abitanti di questi paesi vengono in cognizione del male che li tormenta, e senza perdere tempo chiamano Suonatori con vari strumenti. Nel ballo convulso i tarantati non riconoscono ne parenti, ne amici, e giovano nel ricevere specchi, vestiti e vari oggetti, colorati e spesso di colore incarnato, rosso o ceruleo. Quando vedono il nero si adirano. Si inizia a suonare un ora dopo il sorgere del Sole e si finisce un ora prima di mezzzogiorno, per poi ricominciare un ora dopo il mezzogiorno fino al tramonto del Sole senza sosta. Questo accade per tre giorni consecutivi fino alla guarigione dell'ammalato ".
Nel 1848 il dott. Giuseppe Maria Carusi nelle sue memorie scrive: " Molti son dell' avviso che questo ragno susciti col suo morso il tarantismo, altri che si tratta di un delirio malinconico, prodotto da tutt'altra cagione che dal morso del ragno. E vedi quante asserzioni opposte fra loro e tutte sostenute da grandi autori! e quale di esse abbracciare?, Siamo ormai alle sogli del '900; nel 1893, Ignazio Carrieri, medico di Grottaglie, tornava a sostenere la tesi dell’' isteria come unica spiegazione contro il secolare malanno del tarantismo: "Pubblico questo lavoro senza la pretesa di essere andato in fondo all’ardua questione del Tarantolismo, un tempo molto dibattuta ed oggidì del tutto negeltta per la smania di un malinteso e spesso esagerato positivismo, che nella seconda metà di questo secolo ha invaso le lettere, le scienze, le arti"
.

Dopo la seconda guerra mondiale, e fino al al 1970, il tarantismo era ancora ben diffuso in Puglia e ancora rappresentato da chi era stato realmente morso e da chi inscenava l'avvelenamento; La seconda opzione era sicuramente la piu' diffusa. Le vittime piu' frequenti di reali morsi erano le donne in quanto durante la stagione della mietitura le raccoglitrici di grano erano maggiormente esposte al rischio di essere morsicate realmente dal ragno (malmignatta). Come nei primi del'900, le condizioni di miseria presenti nel dopo guerra e il duro lavoro nei campi, provocavano depressioni, frustrazioni e angoscie interiori che esplodevano inesorabilmente col tarantismo, inscenato e psichico. Anche in questo caso le vittime erano quasi solo donne. Secondo Ernesto De Martino (1959), il tarantismo trovava la sua causa in problemi di stampo esistenziale soprattuto nelle fanciulle che, abbandonata l’' eta' dei giochi si apprestavano ad entrare nel mondo delle passioni e delle ansie del loro tempo, provocando questo stato di angoscia e delirio singolare, che fini' per dilagare come contagio collettivo. Le tarantate ballavano per ore o addirittura per giorni al ritmo di musica, fino allo sfinimento; il ballo era di tipo convulsivo, isterico, a volte malinconico, aggressivo o erotico "senza ritegno o posa". "La tarantata si fa ragno, diventa il ragno che è in lei, il suo pensiero si tramuta in ritmo e nel movimento sorgono figure di liberazione, travolte pero' da ombre disperate (S. Quasimodo)". Gli strumenti di cura per questo "male interiore" erano il violino, il tamburello e la fisarmonica, che un gruppo di musicanti suonava a ritmo di pizzica tarantata (tarantella) direttamente nella casa del tarantato. Secondo la credenza, mentre il tarantato consumava le proprie energie nella danza sfrenetica, anche la taranta si consumava e soffriva sino ad essere annientata. Una vera possessione. Ogni anno, terminata la mietitura il 29 giugno, le tarantate si riunivano nella chiesa di San Paolo di Galatina (S.Paolo dei serpenti) o "Santu Paulu de le Tarante" (ritenuto protettore dei "pizzicati" da animali velenosi), per avere un segno dal Santo, per uscire dal loro numero anonimo nella societa' e dimostrare la loro disperazione davanti al popolo. In questa occasione, al solito ritmo dei musicanti di pizzica, le tarantate ballavano e urlavano nella piazza principale, davanti la chiesa o nella chiesa stessa, arrampicate sui muri, fra le colonne e gli altari. Un fenomeno analogo al tarantismo avveniva contemporaneamente in Spagna, come testimonia la recente ricognizione condotta da Manuela Adamo in Aragona. Qui, molti anziani ricordano la fiesta della Tarantula, i tanti casi di tarantati e la musico usata come terapia. Il fenomeno antico del tarantismo ha riunito da sempre psicologi, antropologi, psicoterapeuti, musicisti e biolgi; Secondo la neurofarmacologia i movimenti convulsi ed estenuanti della danza provocano nel corpo il rilascio di endorfine la cui azione risulta lenitiva nell' eventuale e reale morso del ragno, mentre secondo la scienza della bioenergetica la musica e la danza riuscivano realmente a far ritrovare al tarantato il suo benessere spirituale, psichico e corporeo.

" mio padre... Lui non mi dava bocconi di pane. Lo spezzava alla mezza nel campo di grano per tutti i miei fratelli in fila..
e quando arrivava a me lo buttava per terra e lo pestava. Di notte mia madre andava in cucina, in punta dei piedi mi portava un tozzo.
Lo metteva sotto il cuscino e diceva: mangia senza far rumore.
In cuor mio ringraziavo mia madre. E mentre masticavo, odiavo mio padre..
E non mi sono sposata mai. E sono diventata una tarantata..
Tra un po’ è la festa di San Paolo. Lui mi manda il male. Lui me lo toglie. Ogni anno. Ma devo ballare ore e ore per liberarmi dal veleno.
Ballo da sola sul lenzuolo bianco, nella stanza tutt’attorno i musicisti e tutti i paesani.
Mi guardano e le note stridule del violino tirano la bava dalla mia bocca, sottile e colorata
come il filo del ragno che mi ha punta quando avevo dodici anni.
La terra vibra e mi chiama. E io ballo mentre divento ragna. "
(Lettere di una Tarantata, Annabella Rossi, 1959)

CONCLUSIONI: IL Tarantismo o tarantolismo (avvelenamento del ragno Lycosa tarantula popolarmente detto taranta o tarantola) e' indubbiamente in origine un derivato del Latrodectismo (avvelenamento del ragno Latrodectus tredecimguttatus, popolarmente detto malmignatta, argia, ecc). Mentre il primo grosso ragno infatti produce morsi molto dolorosi, ma non pericolosi, il secondo, piu' piccolo, produce sempre effetti gravi sull'uomo a volte gravissimi. Al morso di questi Ragni la cultura popolare delle varie regioni italiane ha elaborato una serie di risposte terapeutiche, simboliche o musicali, che all'immediatezza dei sintomi fa corrispondere una propria interpretazione mitico- rituale. Popolarmente, sia in Puglia, che in Sardegna, Campania, Sicilia e in alcune parti del Lazio i ragni implicati venivano suddivisi in Vedove, Sposate, Nubili ecc. IL Dott.Luigi Toti noto' che la guarigione dall'avvelenamento del Latrodectus, dopo precise cure, terminava con una sudorazione copiosa ed esagerata del morsicato. Non sembra un caso quindi che nella tradizione Sarda, Campana, Sicula e in Corsica i malcapitati venissero indotti in una sudorazione eccessiva con l'immissione del corpo del malcapitato in forni o caldaie, e intensificata con l'assunzione di Vino. La sudorazione doveva accellerare l'espulsione del veleno dal corpo. Lo stesso Toti, fra le varie cure, somministrava del Vino alle persone avvelenate dal Latrodectus. Un po particolare il discorso per la Puglia; Qui infatti, la sudorazione forzata era data dal ballo sfrenato dei tarantati; Questo e' in disaccordo con gli effetti del reale morso del Latrodectus, il quale rende, quasi sempre, la muscolatura di braccia e gambe, tanto debole da non potersi reggere in piedi (tantomeno ballare). Anche questo, assieme ai minuziosi studi ed osservazioni dei vari illustri studiosi che si sono susseguiti nel Tempo, dimostra che il tarantismo Pugliese e' stato in gran parte psicologico, resistendo per tale fino alle soglie degli anni '80. IL latrodectismo, o tarantismo reale, si e' invece praticamente estinto dagli anni'60, da quando l'uomo quindi, prettamente agricoltore fino al dopo guerra, ha cominciato a trasferirsi nelle citta', per eseguire mansioni che lo allontanavano dalla campagna e quindi dal possibile morso di animali potenzialmente velenosi. Per chi restava in campagna, l'uso sempre piu' frquente di macchine agricole, ha prodotto lo stesso risultato, mitigando il rischio di avvelenamenti. Oggi, il morso, sia del Latrodectus che della L.tarantula, e' rarissimo, destinato a qualche escursionista poco attento o a qualche agricoltore. Entrambe le specie vivono in aree prettamente isolate e lontane da zone abitate.


IL LOXOSCELISMO IN ITALIA:

Accanto al latrodectismo (reale) e al tarantismo (psicologico) una piccola parentisi va aperta sicuramente per il loxoscelismo, patologia causata dall' avvelenamento del ragno Loxosceles detto volgarmente ragno "eremita" o "violino"; IL veleno di questa specie, seppur meno potente di quello delle vedove nere (Latrodectus) e' altamente necrotico e puo' causare sulla pelle edema livido diffuso, che puo' aggravarsi nei giorni successivi con gonfiore e fuoriuscita di escrezione purulenta, conseguenti aperture dell'epidermide e ferite infette, a volte molto gravi e profonde, a lunga guarigione. Dato il collasso epidermico il risultato finale sono quasi sempre cicatrici anche di grandi dimensioni. Purtroppo non esiste nessun trattamento al morso del Loxosceles, ne un antidoto, ne una terapia specifica, se non aspettare la guarigione della necrosi, disinfettandola. Raramente possono inorgere nausea, vomito, febbre. Va specificato pero' che molti morsi di Loxosceles si manifestano soltanto con un intensa irritazione cutanea, senza particolari conseguenze. Le specie piu' note sono Loxosceles laeta, L. reclusa, L. gaucho, L. intermedia (tutte specie del Nord e Sud America), e L. rufescens (presente in tutto il bacino del Mediterraneo). In Italia casi di loxoscelismo sono piuttosto rari, ma si sono verificati praticamente in ogni regione d'Italia negli anni. Il ragno non e' per nulla aggressivo e dall'aspetto di "ragno innocuo", ma essendo sinantropo si trova spesso nelle abitazioni o a stretto contatto con l'uomo, il che puo' aumentare la probabilita' di essere morsi.

Apparte la gia' nota Latrodectus tredecimguttatus (malmignatta o argia) e l'appena descritto Loxosceles rufescens, ALTRI RAGNI italiani con veleni degni di nota, piu' significativi di quelli di altri ragni ma assolutamente ne mortali ne invalidanti, in ordine di velenosita' sono Steatoda paykulliana: E' parente stretta della malmignatta (Latrodectus); possiede un veleno neurotossico, non molto potente ma maggiormente attivo rispetto ad altri ragni locali. IL suo morso puo' provocare leggero gonfiore, forte fastidio, sudorazione, formicolio e addolensimento nella zona del morso. Cheiracanthium punctorium e Segestria florentina: ragni dal morso doloroso seguito da gonfiore e prurito. Grossi ragni come Lycosa tarantula, Hogna radaita, Alloccosa oculata, Zoropsis spinimana, Cteniza sp. ed Ablyocarenum possono infliggere morsi dolorosi, a volte con leggero gonfiore, non tanto per la potenza del loro veleno ma per le loro grandi dimensioni. Ischnocolus valentinus: E' un migalomorfo ed unico teraphoside italiano. Non e' nota l'efficacia del suo veleno nell'uomo. Eresus sp:Le femmine di questa specie sono piuttosto grandi. Le schive abitudini di vita questo ragno non rendono nota la vera efficacia del suo veleno. Tuttavia l'entomologo Milan Řezáč descrive di alcuni casi con morso quasi indolore ma accompagnato da febbre e debolezza per alcuni giorni. Macrothele calpeiana: è un grosso migalomorfo introdotto accidentalmente in Italia con il trasporto di Ulivi e Palme dalla Spagna meridionale. Oltre ad essere di grandi dimensioni il suo veleno è particolarmente attivo nell'uomo. I casi di ritrovamento in Italia sono rari, e non sono mai stati accompagnati da caso di morso: 3 in Veneto, 2 in Trentino, 3 in Lombardia, 1 Liguria, 1 Sardegna, 1 Lazio. Non vi è alcuna prova che il ragno possa riprodursi in Italia, tuttavia il clima del centro-sud Italia potrebbe essere abbastanza mite per garantire la sopravvivenza di questa specie.

DISTRIBUZIONE DI ALCUNE SPECIE RILEVANTI (per velenosita' o grandezza) DI RAGNI IN ITALIA:

I ragni occupano quasi ogni ambiente esistente, da quelli piu' aridi a quelli piu umidi. In particolare le specie che abbiamo analizzato, occupano nicchie ecologiche ben distinte. Ragni come la malmignatta (Latrodectus tredecimguttatus) sono quasi esclusivamente xerofili, abitatori quindi di zone per lo piu' aride, pietrose, calde, di macchia mediterranea bassa costiera o collinare, non oltre i 500 mt. in Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Corsica. La sua presenza in Sicilia è ancora da accertare. Lycosa tarantula e' una specie che vive dal livello del mare sino a 1400 metri di quota, sia in ambienti di prateria mediterranea che di alta montagna, ambienti che comunque in estate tendono a divenir aridi (xerofili), condividendo a volte gli stessi areali del Latrodectus. E' diffusa dalla Toscana in giu, fino in Sicilia. Assente dal Nord Italia, da Corsica e Sardegna. In Sardegna e Corsica è rimpiazzata dalla Lycosa oculata, in ambienti simili; Anche le altre specie della stessa famiglia presenti in Sicilia come Lycosa munieri e bedeli occupano lo stesso tipo di ambiente della Lycosa tarantula. I grossi ragni botola del genere Cteniza sp. e Amblyocarenum sp., migalomorfi e molto simili, sono anch'essi per lo piu' xerofili, occupando le stesse aree del L. tredecimguttatus pur scavando la loro tana nel terreno. Vivono in ambienti pietrosi-collinari-costieri di Liguria, Lazio, Campania, Molise, Calabria, Sicilia, Basilicata, Sardegna e Corsica. Sembra che i maschi di Ablyocarenum siano particolarmente erranti dopo giornate piovose fra Agosto e Ottobre, a differenza dei maschi di Cteniza che sembrano particolarmente erranti fra Novembre e Dicembre. Altri migalomorfi terricoli simili, come quelli del genere Nemesia sp., vivono in ambienti piu' vari, sia costieri aridi che collinari e montuosi umidi, rimanendo probabilmente sotto la quota di 800 mt. Anche questa specie scava tane nel terreno, ma sembra particolarmente errante, in particolare i maschi, sembra piuttosto errante nel mese di Novembre, dopo giornate piovose. Ragni veleniferi del genere Cheiractium abitano prati e praterie, ricchi di vegetazione, dove costruiscono la loro tana fra gli steli; Vive in tutta Italia, dal livello del mare sino a 800 metri di quota. IL piu' velenoso Loxosceles rufescens e' un ragno mediterraneo costiero (non si spinge in genere sopra gli 800 mt di quota). Soprattutto nel Nord Italia e' spesso sinantropo, entrando nelle abitazioni, nei garage, soffitte, cantine, nei fienili. Nel sud italia e' meno sinantropo, trovandosi spesso su pareti rocciose o sotto le pietre. Anche se in maniera non omogenea, e' distribuito su tutta la penisola. Altro ragno dal morso doloroso e piuttosto sinantropo e' la Segestria florentina. Come la specie precedente e' piu' sinantropa nel Nord Italia, dove la stagione fredda e' piu intensa e duratura. Qui costruisce la sua tela ad imbuto nelle abitazioni, nei fori delle pareti, ruderi, orti, ecc. Nelle zone costiere del centro e sud Italia e' molto meno sinantropo. Preferisce costruire la tela fra le pareti rocciose e fra la vegetazione, dove sembra strettamente legato alla corteccia degli alberi di Eucaliptus e piu' raramente nei fori degli ulivi o fra gli intacchi fogliari lungo il tronco delle palme. Anche questa specie, seppur in maniera non omogena, sembra distribuita su tutta la penisola. Altro ragno velenifero e' la Steatoda paykulliana. Vive in ambienti soventemente xerofili e pietrosi, condividendo spesso gli stessi areali del Latrodectus, ma si spinge anche in ambienti piu' umidi e semiboscosi. Ischnocolus valentinus, migalomorfo ed unico teraphoside italiano, e' presente soltanto in alcune aree della Sicilia, nei dintorni di Trapani, Marsala, Mazara e Gela. Scava la tana in terreni costieri mediterranei-pietrosi e asciutti, di tipo xerofilo, non oltre i 200 metri di quota.Ragni di dimensioni relativamente grandi e dal morso fastidioso, ma assolutamente non pericoloso come Zoropsis spinimana e Hogna radiata vivono soventemente in campi, pascoli e giardini, sia aridi mediterranei che umidi di collina e montagna. Zoropsis spinimana e' anche spesso sinantropa, rifugiandosi nelle abitazioni sopratutto nei mesi freddi; si trova anche fino a quote di 900 metri. L'Hogna radiata e' generalmente piu' sconfinata a pascoli di bassa collina o costieri. Gli Eresus sp. vivono in probabilmente in tutta Italia, dai 1400 mt fino al livello del mare. Macrothele calpeiana come gia' detto è un ragno introdotto accidentalmente in Italia con il trasporto di Ulivi e palme dalla Spagna meridionale. Nei luoghi di origine sembra preferire pinete e sopratutto boschi di sughero, dove costruisce la sua tela tubolare nei buchi dei tronchi e alla base delle radici

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SCORPIONI IN ITALIA:

In Italia esistono 12 specie di scorpioni, molto simili fra loro e tutte appartenenti al genere Euscorpius. Popolarmente in alcune regioni d'Italia vengono chiamati “Scarpioni”, “Scurpiuni”, “Tarantuni”, “Salifizi”, “Schirpiuni”, “Scuppiuni” (con gli ultimi due termini viene spesso chiamato in Sicilia anche il geco Tarentola mauritanica). Secondo la classificazione di G.Tropea al 2013 le specie elencate sono: E. Italicus, E. flavicaudis, E. concinnus, E.sicanus, E. tergestinus, E. celanus, E. oglasae, aquilejensis, E. partenopheius, E. alpha, E. gamma, E. germanus. Tutte queste specie hanno dimensioni comprese fra 2 e 5 cm e non sono particolarmente pericolose per l'uomo. La loro puntura è paragonabile piu' o meno a quella di una vespa. Gia' Plinio attorno al 70 a.C. parlo' di scorpioni in Italia, asserendo che, a differenze di altri scorpioni quelli italici erano poco velenosi o per lo piu' innocui. Secondo antiche leggende gli scorpioni erano legati ai granchi e alla pianta del basilico; Ad esempio, legando dieci granchi di fiume ad un mazzo di basilico si riunivano moltissimi scorpioni, o se si pone un granchio e del basilico vicino ad uno scorpione questo cade improvvisamente morto; o ancora che dal basilico triturato, posto fra due tegole, chiuso da sabbia e sterco e posto in cantina nascessero spontaneamente scorpioni, e che da molti scorpioni morti messi al Sole, ed annaffiati con acqua e basilico macerato, nascessero altri scorpioni. Leggende popolari ed incantesimi apparte, un rimedio apparentemente utile per combattere l'avvelenamento di scorpione, era l' olio di scorpione, ottenuto mettendo in una boccia di vetro scorpioni ancora vivi e olio di oliva, quanto basta per ricoprirli. Similmente, in Francia, secondo quanto riportato Blanchard, lo stesso unguento si preparava, facendo morire 35 scorpioni in due litri di olio di mandorle amare, e si esponeva la miscela al sole per 40 giorni. Attorno al 1670 Francesco Redi asseriva che nella sola citta' di Firenze si consumassero circa 40 libbre di scorpioni nostrani per far l'olio contro i veleni, avendo lui visto infinite volte " quei contadini che pel sollione li portavano in Firenze a vendere, e razzolar colle mani nude nei sacchetti ed esserne sovente punti ". Questi rimedi popolari troveranno una leggera base scientifica a fine '800 negli studi fatti da Bourne e Metchnikoff, che cioe' il sangue dello scorpione è antitossico. Giorgio Baglivi nel 1695, oltre a descrivere le tarantole e i sintomi e la terapia del tarantismo, aggiungeva che anche lo Scorpione pugliese provocava la stessa sintomatologia dei ragni e pure con il ballo e con la musica dovessero essere curati gli effetti della sua puntura. A dimostrazione di questo, Beatrice de Cesare, nell'aprile 1721 a Brindisi, all' eta' di 19 anni, venne punta sulla nuca da uno scorpione. Apparte lo spavento e un macchia nera non ebbe alcun sintomo. Molti giorni dopo venne scossa da un repentino e fortissimo tremito cui si accompagnò sensazione di freddo e una febbre altissima che durarono ininterrottamente fino alla mattina successiva. Nel pomeriggio ricomparvero le stesse manifestazioni che continuarono immutate per venti giorni. l sintomi più evidenti erano cefalee, sete intensa, gemiti frequenti, difficoltà respiratorie causate da oppressione di petto e angoscia, di cui soprattutto si lamentava. Il medico curante, Carlo Baufick, essendo inesperto di scorpioni decise di sottoporre la ragazza ad una terapia musicale come quella per i morsi delle tarantole. Quando giunsero i musicanti la giovane, appena ascoltata una certa melodia, inizio' a ballare e si immerse completamente in una tinozza d'acqua che le era stata portata. Dopo aver ballato per otto giorni di seguito, sfebbrò e guarì. Similmente, in Spagna (come fa notare la studioso Emanuele Adamo), alcuni casi di tarantismo erano dovuti alla puntura di scorpioni, oltre che al morso di ragni, e la terapia del ballo veniva quindi usata come guarigione. Apparte questi casi di evidente tarantismo psicologico indotto dalle punture di scorpione, qual'è la reale pericolosita' degli scorpioni Italiani ed Europei?

Generalmente, la puntura dello scorpione è seguita da sintomi non gravi, consistenti in bruciore e dolore, con transitorio gonfiore, a volte edematoso nel punto della puntura. Spesso il dolore è meno intenso di quello di una puntura di vespa. Tuttavia, la sintomatologia puo' essere anche piu' grave; IL M. CONDORELLI FRANCAVIGLIA dell' Istituto di Parassitologia Medica della R. Università di Catania, descrisse nei primi del '900 avvelenamenti e addirittura decessi in Sicilia a seguito del morso di scorpioni:
1. IL Conte Ninni, punto al mignolo della mano sinistra da un E. Italicus, provò subito bruciore e dolore intenso, e vide formarsi sul sito della puntura una larga papula di color rosso livido, che si trasformo' in una vescica a contenuto siero-sanguinolento, da cui prese origine una linfoangioite, che si estese sino al collo. Vi fu pure leggero movimento febbrile. Tali disturbi, dopo 24 ore, cominciarono ad attenuarsi, e scomparvero del tutto al terzo giorno.
2. Puglisi Sebastiano fu Antonino, di anni 32, da Priolo (Siracusa), nel mese di gennaio del 1905 fu punto da uno scorpione al dorso della mano sinistra. Nel punto si manifestò subito una piccola papula di colore rosso violaceo, che si ingrandi' fino a raggiungere il diametro di una moneta. La pelle, per tale estensione, ando' in cangrena. Segui' una linfoangioite con conseguenti sintomi di rossore, calore, dolore, turgiore edematoso, accentuato specialmente alla faccia dorsale della mano, dove la pressione digitale lasciava una fovea abbastanza marcata. Niente febbre. Portata via l' escara e curata la piaga, si ebbe la completa guarigione dopo circa 30 giorni.
3. Caso più interessante, è quello di Marianna Marotta, di anni 21, anch'essa da Priolo, morta nell' ottobre del 1905 per avvelenamento di uno scorpione che, qualche giorno prima, l' aveva punta alla faccia. Per la morte del medico curante e pel mutismo della famiglia di lei, dovuto ad ignoranza e a stupida riserbatezza, non è stato possibile avere notizie più dettagliate.
4. Interessanti, sono le altrettante scarse notizie, riguardanti la morte di un altra giovine. Santa Pirezza di Gaetano, di anni 15, da Priolo, nel mese di marzo del 1910 fu punta da uno scorpione all' ostio vaginale. Sopravvenne rapidamente edema emorragico su tutta la vulva, diffuso all' addome, e quindi morte al terzo giorno con sintomi di asfissia per paralisi dei muscoli respiratori.
5. Ultimo caso riportato, e dallo stesso dott. Condorelli Francaviglia osservato, è la morte di Giuseppe Fiorito di Antonio, di anni 42, da Misterbianco (Catania), carrettiere, piccolo di statura e gia' debilitato in passato per infezione malarica. Il 4 settembre del 1893, mentre cacciava un coniglio in una grotta umida delle lave etnee, fu punto al sopracciglio destro da uno scorpione, che arrivava, a suo dire, alla lunghezza del dito indice. Provò subito intenso bruciore sulla parte offesa, dolore intenso irradiantesi alla metà sinistra del capo e della faccia; comparve lieve gonfiore locale, che, dopo poche ore, arrivo' anche alle regioni vicine. Il paziente non si preoccupò molto del male e non credette opportuno di ricorrere al medico. Al terzo giorno dalla puntura, essendo molto peggiorate le condizioni di salute, egli richiese il medico, e fu allora che il D.C.Francaviglia ebbe occasione di visitarlo. Aveva problemi respiratori, la testa era aumentata di volume per forte infiltrazione edematosa, che si estendeva al collo e alla porzione superiore del torace. Le labbra erano turgide; le palpebre di destra, fortemente chemotiche, comprimevano il globo oculare, compromettendone l'integrità. Un centimetro al di sopra del sopracciglio destro il segno evidente d' una puntura unica; all'intorno una zona circolare di pelle ecchimotica del diametro di un soldo. Da quel punto centrale veniva fuori, spontaneamente, una gocciolina di liquido sierosanguinolento. Non vi era linfangioite, e nemmeno ingorgo delle ghiandole linfatiche vicine. Il paziente accusava un senso di oppressione all' occhio destro, aveva tendenza al sonno ed estenuazione grave di forze, la respirazione era frequente e superficiale, il polso frequente e debole, il sensorio alquanto depresso, la reazione pupillare piuttosto tarda nell'occhio sano, non constatabile nell' altro. La febbre mancava. Nei primi due giorni si ebbero dei conati di vomito, frequente urinazione, la quale successivamente diminui al di sotto della norma. Malgrado le cure somministrate il veleno era da troppo tempo in circolo e fu inutile ogni tentativo di salvezza. IL polso, da frequente e debole, divenne raro, intermittente; IL respiro si fece frequente e superficiale, le funzioni psichiche ed affettive depresse, il volto si coprì di sudore freddo continuo, che precedette di poche ore la morte, avvenuta al quinto giorno dalla puntura.

" Quale delle specie di scorpioni, esistenti in Italia e in Sicilia, abbia determinato, nei casi sopracennati, accidenti gravi e persino la morte, io non posso assicurare, poiché l' aracnide non fu mai catturato ne analizzato, ma gli esempi da me riportati dimostrano che gli scorpioni italiani, per lo piu' inoffensivi, riescono in rarissimi casi (fanciulli o persone debilitate da malattie passate) a determinare accidenti gravi o persino letali ".

Io personalmente fui punto al gluteo destro da un E.aquilejensis (ero in costume), ed ebbi efettivamente immediato bruciore e gonfiore di una papula delle dimensioni di una moneta da 10 centesimi. IL bruciore (a pulsazione simile a quello della puntura di api) e il gonfiore rimasero per circa due ore, dopo di che, apparte una leggera macchia arrossata, non ne rimase traccia. Malgrado il mio estremo interesse non avrei mai avuto il coraggio di farmi pungere deliberatamente da uno scorpione, ma Nella mia follia fui quasi felice di esser stato punto accidentalmente ed aver provato la puntura di un Euscorpius.



avevo appena messo il bastoncino nell’inchiostro ed è caduto uno scorpione.
Avevo incominciato a scrivere e lui camminava sul foglio. Ho gridato come una pazza.
Con un balzo dalla sedia, ho iniziato a girare attorno al tavolo. Giravo e urlavo.
Poi mi sono nascosta sotto il tavolo. E sbattevo la testa sul pavimento.
Dopo un po’, indolenzita, ho aperto la porta e di corsa via.. (da Lettere di una Tarantata, Annabella Rossi)


DISTRIBUZIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE DI SCORPIONI ITALIANI:

Gli scorpioni sono distribuiti in tutta la penisola italiana, tuttavia la loro distribuzione mostra chiaramente che alcune specie sono tipiche di ambienti necessariamente piu umidi, rispetto ad altre specie che riescono ad ambientarsi anche in ambienti quasi xerofili. L'E. italicus predilige zone montuose e collinari (max 1200 mt), prevalentemente calcaree, boscose e piuttosto umide, fresche in estate, quasi sempre legate a complessi idrogeologici. E' distribuito lungo tutte le Alpi, le prealpi e sulla Pianura Padana, in tutto il centro Italia e lungo tutto l'Appennino fino all'Abruzzo. Sul lato Adriatico si trova fin sulla costa, mentre è assente dalla piu' siccitosa costa tirrenica, dove si trova molto piu' all' interno. Diviene piuttosto sinantropo nelle case dei paesi che si trovano all'interno del suo areale. E' assente dal sud Italia e dalle isole maggiori.
L'E. flavicaudis, al contrario, predilige zone piu' calde e sopporta livelli di umidita' piu' bassi. E' distribuito lungo tutta la costa tirrenica e nelle zone collinari interne tirreniche, dal livello del mare sino a 700 metri. Nel Lazio e in Campania sembra strettamente legato a complessi idrogeologici delle vulcaniti dei distretti vulcanici. Poco sinantropo, si trova spesso in ruteri, muri a secco e boschi termofili (ostrieti, leccete) tipici dell'area mediterranea. Si trova anche diffuso in Sardegna, Corsica e sulle isole dell' arcipelago Pontino e Campano.
L'E. concinnus ha l'areale di distribuzione maggiore sul territorio. Vive principalmente sulla fascia tirrenica, dalla Campania alla Liguria, ma e' praticamente diffuso in tutto il centro/centro nord Italia fin sulla costa adriatica, dal livello del mare fino a circa 1000 metri, lungo quasi tutto l'Appennino, da quello campano a quello emiliano e ligure. E' stato rinvenuto in edifici antropici, nei ruderi, fra pietre in pascoli aperti, nei muri di pietre a secco spesso calcaree, in boschi sia termofili (leccete, pinete) che igrofili (faggete). In alcuni luoghi puo' essere simpatrico con le due specie precedenti. Sembra assente dalle Alpi, dal lato settentrionale della Pianura Padana, dall' estremo sud Italia, da Corsica, Sicilia e Sardegna.
L'E. sicanus e' un altra specie dal vasto areale. Diversamente dalle specie precedenti e' tipico del Sud Italia, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Eolie, Malta, Lipari. Stranamente e' diffuso anche sulle coste della Toscana meridionale, e su quasi tutte le isole dell'Arcipelago toscano. E' ovviamente lo scorpione che sopporta i piu' bassi livelli di umidita'. Vive in boschi solitamente termofili (leccete, pinete), sotto pietre, fra ruderi, muretti a secco e a volte diviene sinantropo.
E.aquilejensis e' uno scorpione prettamente sinantropo. Si e' quasi sempre trovato in cantine, garage, soffitte, case e ruderi, soprattuto nei centri antichi di paesi e citta' quali Roma, Firenze, Siena, Milano, Ferrara, Ravenna, Venezia, Trieste, Ancona, Napoli, ecc. E' assente dal sud Italia e dalle isole maggiori.
E.tergestinus, e' stato per anni confuso con l'E.aquileiensis. Le due specie sono praticamente identiche ad un occhio poco esperto. Sembra diffuso nell'Italia nord orientale, dal livello del mare fino a 700 metri, in Veneto e Friuli, per poi sconfinare in Austria, Slovenia e Croazia.
L'E.germanus, piuttosto piccolo, vive sulle Alpi Orientali di Trentino, Piemonte e Friuli, in boschi sub alpini umidi, pietrosi-calcarei (faggete, ostrieti, lariceti, pinete montane).
L'E.alpha, anch'esso piuttosto piccolo, vive nelle Alpi Occidentali di Lombardia, Piemonte e Val d'Aosta, in boschi sub alpini umidi, pietrosi-calcarei (faggete, ostrieti, lariceti, pinete montane ).
E.gammavive per lo piu' in Austria, Croazia e Slovenia. In Italia sarebbe stato rinvenuto solo nel Friuli.
Altri specie di recente scoperta sono: E. parthenopeius endemico della zona costiera di Napoli, Capri ed Ischia; E. celanus, endemico di alcune zone di alta montagna (1000-1500 mt) in provincia dell'Aquila; ed E. oglasae, abitatore dell' Isola toscana di Montecristo.

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"Voi ragni pelosi, Voi tassi barbassi
Lumache bavose E ciechi orbettini
Restate lontani
Dai nostri bambini
. Voi bestie notturne Amanti del buio
Voi che non dormite
Se non al mattino...


Link utili:


Lycosa Tarentula e tarantismo
La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud
BASI ZOOLOGICHE - NATURALISTICHE DEL TARANTISMO NEL SALENTO: Roberto Pepe
Dalla parte della Tarantola (Da puntura a morso simbolico, Da chi è avvelenato a chi fa l’avvelenato): Gaetano Bonanno
La Taranta: Armando polito
IL Tarantismo in Spagna (Aragona)
IL Folklore d'Italia: Tarantismo ieri, Oggi, fra storia e societa'
LA TARANTOLA A PALERMO: Gaetano Bonanno
Lettera ... Sopra il Tarantismo, l'Aria di Roma, e della sua campagna: Francesco Cancellieri 1817
Della tarantola o sia falangio di Puglia lezioni accademiche: Francesco Serao 1742
De phalangio Apulo: Ludovico Valletta 1706
Molecular systematics of the wolf spider genus Lycosa (Araneae: Lycosidae) in the Western Mediterranean Basin: E.Planas, C.Fernandez-Montraveta, C.Ribera

Latrodectus e latrodectismo

IL Genere Latrodectus (Vedove nere): Tomas Tamburi 2017
Memoria Fisico-Medica Sopra il Falangio o Ragno Venefico dell' Agro Volterrano: Luigi Toti 1786
Contributo alla conoscenza dei predatori della ova di Latrodectus tredecimguttatus Rossi: L. Rivosecchi e S. Bettini
Tradizionali Usanze Sarde legate al Latrodectus tredecimguttatus (Rossi), ad altri grossi ragni ed alle femmine delle mutille.
Ragni italiani di interesse medico: alcune osservazioni su Latrodectus tredecimguttatus e Chiracanthium punctorium: M.Trentini, M.Marini, M.Falica et al. Conference Proceedings, 1993
Distribuzione in Italia di Latrodectus tredecimguttatus Rossi 1790: M.Trentini, M.Marini, Societa Italiana di Parassitologia Conference Proceedings, 1994
Myocardial damage after spider bite (Latrodectus tredecimguttatus) in a 16-year-old patient, Pulignano, G. et al. Giornale Italiano di Cardiologia 28(10), 1998
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Effects of Latrodectus spider venoms on sensory and motor nerve terminals of muscle spindles Latrodectus mactans tredecimguttatus (black widow), Latrodectus mactans hasselti (red black), 1956
A case of spontaneous abortion after a bite of Latrodectus tredecimguttatus, Blagodarnyi, I.A., 1955
New finding about the altitudinal range of Latrodectus tredecimguttatus in Italy: G.Pontuale, G.Majori, M.Maroli et al. Conference Proceedings, 1998
Analisi retrospettiva sull' Argia (Malmignatta): Paolo Pillonca
ARGIA (rito, mito, ritmo, canto): Paolo Cerlati, Ottavio Farci

Scorpioni (Euscorpius)

THE Scorpion Files
The Scorpion Files2
The Euscorpius tergestinus (C.L. Koch, 1837) complex in Italy: Biometrics of sympatric hidden species (Scorpiones: Euscorpiidae)
Reconsideration of the Taxonomy of Euscorpius tergestinus: G.Tropea
Gli scorpioni italiani Linea Ecologica, 1999: P.CRUCITTI, M.Maiori, G.ROTELLA
A New Species of Euscorpius Thorell, 1876 (Scorpiones, Euscorpiidae) from Italy: G.Tropea
A new species of Euscorpius Thorell, 1876 from Naples Province, Italy: G.Tropea
New Data on Distribution and Ecology of Seven Species of Euscorpius Thorell, 1876: M.Colombo
New molecular and morphological data on the "Euscorpius carpathicus" species complex from Italy, Malta, and Greece justify the elevation of E. c. sicanus to the species level
The scorpion of Montecristo, Euscorpius oglasae Di Caporiacco, 1950, stat. nov: a paleo-endemism of the Tuscan Archipelago (northern Tyrrhenian, Italy)
Euscorpius sicanus from Tunisia: DNA Barcoding Confirms Ancient Disjunctions Across the Mediterranean Sea
Euscorpius alpha (Caporiacco, 1950) and Euscorpius italicus (Herbst, 1800) at the Monte San Giorgio (Southern Switzerland) with Identification, Sexing, Keeping in captivity, diseases and hemispermatophores size comparison: by Roman Willi

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